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Sabato, 27 Aprile 2024
La riflessione

Fra superficialità e odio i social stanno spegnendo la nostra dote più grande: l’umanità

A Brindisi una leggerezza è costata cara a una seria professionista nel campo sanitario. E a Lecce il presidente Sticchi Damiani è stato tirato in ballo in maniera immotivata nello scandalo delle scommesse. Il clic impazzito è un'arma che ha seri risvolti nelle vite reali

Dovremmo prendere sul serio le parole del padre di Vincent Plicchi, quell’esortazione accorata ai ragazzi a vivere la propria vita nella realtà. Suo figlio, tiktoker bolognese, avrebbe ricevuto tante di quelle palate di fango nel mondo virtuale che la sua anima fraglie è sprofondata in un tormento reale. I social hanno le fondamenta posate in terreno di pixel e codici a volte talmente viscido che in un istante si può scivolare nella tragedia.

L’incontenibile dolore di un padre che ha dovuto seppellire un figlio è una testimonianza sincera e concreta da cui partire per iniziare a riflettere veramente, una volta per tutte, sui risvolti nella vita reale che hanno le azioni nell’universo del web. E le sue parole dovrebbero essere amplificate nella portata, perché una fetta sostanziosa di adulti non riesce a essere più credibile e a fornire alcun insegnamento ai ragazzi. Politici, professionisti, educatori, famiglie, molti fra coloro che in generale dovrebbero rappresentare un punto di riferimento, sono spesso i primi a cadere nella trappola del post o del tweet compulsivo. La smania di esserci, del like facile, fino alla perdita di aderenza con la realtà.

L’ha capito a sue spese la coordinatrice dell’unità operativa complessa di Anatomia patologica dell’ospedale “Perrino”. La sua foto mentre sorride, ricucendo un cadavere dopo un’autopsia, trasformata in una storia del profilo Facebook, potrebbe entrare di diritto in una scena di una moderna commedia grottesca. Suona talmente surreale, che si stenta a credere possa esservi stata così tanta superficialità in una persona che si presume preparata e dotata di un background culturale di un certo livello.

Intendiamoci, non ho nulla contro di lei. Scommetto che è una persona squisita. La ritengo, piuttosto, vittima di sé stessa e di una leggerezza imperdonabile, che l’ha portata a trasgredire regole deontologiche e a suscitare disapprovazione diffusa, perché sotto le sue mani, in quel momento, c’era un corpo che non respirava più e lì fuori, magari, parenti che si stavano struggendo per la perdita.

Certe professioni portano a sviluppare un’inevitabile scorza. Il medico legale non potrebbe più esercitare se svenisse alla vista del sangue, il poliziotto non potrebbe eseguire arresti con la dovuta freddezza se si mostrasse vacillante davanti a una moglie che piange mentre trascina nella volante il marito in manette e il cronista di nera dovrebbe dedicarsi allo sport, se si mettesse a lacrimare davanti a un incidente stradale mortale, rifiutandosi di scattare foto e scrivere un pezzo.

Qualcuno chiamerebbe tutto ciò cinismo, e non nascondiamoci, in parte lo è. Ma è una forma necessaria, uno scudo da sollevare per sopravvivere su quel campo di battaglia che è il luogo di lavoro. All’esterno, però, dismessi quei panni, bisogna dimostrare empatia e rispetto. E fermarsi a ragionare un istante di più, prima di trasformare un pensiero che passa nella testa in un post potenzialmente in grado di varcare qualunque confine e suscitare ribrezzo, paura, disagio.

Di casi estremi son piene le piazze virtuali. Bullismo e frasi offensive, razzismo, teorie cospirazioniste, cattiveria gratuita, superficialità. Spesso e volentieri, tutto frutto di mani di codardi che si nascondono dietro profili falsi, se non di esibizionisti e frustrati che hanno oggi campo aperto e sconfinato. Soggetti che un tempo sarebbero stati messi fuori dalla porta seduta stante, in qualsiasi stanza formata da pareti reali.

Nella mole di messaggi incontrollati che circolano su messaggistiche e social, in quel “gioco” delle ipotesi molto pericoloso, perché gli spettri della diffamazione e della calunnia sono dietro l’angolo, proprio nei giorni scorsi è finito anche il presidente dell’Unione sportiva Lecce, Saverio Sticchi Damiani. Qualcuno l’ha indicato senza alcun riscontro oggettivo fra gli scommettitori in circuiti illegali. E lo stesso dicasi per molti calciatori. Hanno iniziato a circolare liste senza alcun fondamento, basate solo su una fantasia distorta.

Le illazioni esistono da sempre, appartiene alla natura umana formulare congetture. Ma un tempo ci si sedeva a un tavolo, fra amici, e un po’ per diletto, magari dopo qualche birra di troppo, si iniziava a scommettere che tizio fosse un poco di buono, che caio fosse una brutta persona, sempronio un criminale. Tutto moriva quasi sempre lì. Oggi, invece, con smisurata assenza di previsione sulla conseguenza delle proprie azioni (ma è il segno di tempi dominati da vacuità intellettuale), un pensiero molesto, un’invettiva, una falsità grossolana, diventano virali con un clic.

Prima che l’intelligenza artificiale dia il colpo di grazia a quel poco che resta della nostra umanità, proviamo sul serio a seguire le parole del papà di Vincent: usciamo per strada, incontriamoci e guardiamoci negli occhi. Proviamo a vivere la nostra vita al di fuori di un computer e di uno smartphone. Perché ormai non sono quasi più nemmeno strumenti. Si stanno trasformando in estensioni della nostra mente, a volte dei suoi lati più oscuri.    

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