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Lunedì, 29 Aprile 2024
Attualità Francavilla Fontana

"Università in Italia: siamo sicuri che il diritto allo studio sia garantito a tutti"?

Intervista alla studentessa francavillese dell'UniFe che ad aprile parlò del "mito del merito" davanti a Mattarella: "Il sistema dei cfu e delle borse di studio è da rivedere"

FRANCAVILLA FONTANA - "Come possiamo pensare che un percorso universitario debba essere dettato dai nostri tempi, sia di nostra proprietà, mentre siamo bombardati continuamente dal mito della performatività e da una competizione illogica che ci sbatte in faccia i successi degli altri e ci fa tirare un sospiro di sollievo quando qualcuno fallisce al posto nostro"? La domanda cade nell'aria. Mentre Alessandra De Fazio, presidente del consiglio degli studenti dell'Università di Ferrara, la pronuncia, all'apertura dell'anno accademico, è presente anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Lei è una studentessa francavillese di Medicina. Era aprile 2023. De Fazio punta il dito contro il sistema meritocratico delle università italiane, che per lei sono "diplomifici", si scaglia contro il mito della permormatività, mito mutuato dal sistema neo-liberista vigente, da non mettere mai in discussione, neanche fosse un dogma di fede.

In quel periodo i quotidiani esaltavano una studentessa che si era laureata in Medicina in netto anticipo sui tempi, diceva che il sonno era quasi una perdita di tempo. All'inizio la storia di questa seconda ragazza era raccontata acriticamente, come un esempio, un modello. Poi qualcuno ha fatto notare che tale modello può non essere accettato universalmente, anzi. Il contraltare è la storia - e il pensiero - di Alessandra De Fazio. Anche lei studia Medicina, ha 25 anni ed è originaria di Francavilla Fontana. Lei non nasconde di aver provato due volte il test d'ingresso, di aver pensato di essere un fallimento. I pensieri cattivi vengono scacciati mentre la giovane francavillese viene intervistata da BrindisiReport nella Città degli Imperiali. E' l'occasione giusta per parlare di università, performatività e merito, partendo proprio dalla sua storia.

Perché ha scelto di studiare Medicina?

"Sembrerà strano, ma mi piace l'odore dell'ospedale. E' il centro della cura per antonomasia e io credo nella società della cura. Prima volevo fare la maestra di matematica, poi ho pensato a Medicina, a diventare medico. Per prendermi cura del prossimo".

Domanda scontata: come si vede da qui a qualche anno?

"Spero di essere un buon medico. Il tirocinio mi ha acceso ulteriormente la passione. La sala operatoria è un posto asettico, mi fa staccare dal mondo e mi agevola la concentrazione. Lo so che l'ospedale viene visto come un posto di sofferenza. Ma si può ribaltare la visione: può essere un posto di felicità, di guarigione, di cura, appunto".

Cosa intende per "buon medico"?

"Dal mio punto di vista un buon medico deve essere molto empatico. La professionalità, da sola, non basta. Dopotutto si è a contatto con la fragilità e l'intimità di un paziente, che prima di tutto è una donna o un uomo".

Entriamo nel vivo del suo discorso: che rapporto hanno performatività ed empatia?

"Difficile dare una risposta secca. Dipende dal punto di vista. Io preferisco prendere il punto di vista dell'empatico: vive sulla propria pelle anche ciò che accade al prossimo. Ecco, la performatività può portare alla distruzione, in questo caso, devi correre e correre per raggiungere un mito che ti inculcano. Ci si sente schiacciati".

Quindi, cos'è per lei la performatività?

"E' mera propaganda, che rischia di uccidere il percorso naturale di ogni individuo. Se uno si laurea in fretta, in anticipo sui tempi già serrati, mica è detto che diventi automaticamente un buon medico. Viceversa, chi osserva un tale percorso, secondo me non naturale, si sente un fallito".

Perché durante il suo discorso ha puntato su questo argomento?

"Io sono una rappresentante degli studenti, prima di tutto. Credo che sia un mio compito portare all'attenzione la loro vita, senza comunque generalizzare. Lo studente pensa a prendere la borsa di studio, a mantenere poi la borsa di studio, a vivere in una città comunque costosa, a trovare un'abitazione decente. Bisogna parlare di questi problemi".

Però anche l'articolo 34 della Costituzione parla di "meritevoli".

"Certo, ma il problema va attualizzato. Oggi, per come è concepita l'università italiana, 'merito' è un modo ipocrita per definire il privilegio. Non partiamo tutti da pari strumenti e da pari condizioni. Dopotutto, chiediamo ai poveri di essere meritevoli, per poter studiare. Ai ricchi questo non succede. Il diritto allo studio va garantito a tutti allo stesso modo, altrimenti si discrimina in base al censo".

Può spiegare questo concetto con un esempio?

"Chi prende una borsa di studio è meritevole solo se consegue tot cfu. Se alla fine dell'anno, gli manca un cfu, non solo perde la rata finale della borsa di studio, ma deve anche restituire quella precedente. E chi paga un affitto con il denaro della borsa di studio, come fa? Secondo me, tale sistema va rivisto, partendo dal presupposto che l'istruzione è un diritto, non un servizio. Adesso l'università è più un 'diplomificio' dove 'acquisti' il tuo titolo".

In che modo ciò si ripercuote sulla psiche di uno studente?

"Innanzitutto, in questo modo non si vive l'università come un luogo dove apprendere e formarsi. Devi correre e raggiungere gli obiettivi. L'esame non è più un  momento di confronto. E poi gli atenei sono costretti a fare scelte, per avere finanziamenti, magari cercando di aumentare il numero degli studenti. E le università piccole non possono migliorare".

In conclusione, perché dice che il diritto allo studio non è garantito, di fatto?

"Perché allo stato attuale non c'è parità di strumenti. il sistema dei cfu è da rivedere. E anche quello delle borse di studio. Io penso che occorra pensare a nuovi strumenti, magari a un reddito di formazione per gli studenti. In questo modo, secondo me, potremo parlare di diritto allo studio garantito a tutti".

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