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Lunedì, 29 Aprile 2024
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A cura di Blog Collettivo

Autonomia differenziata: il nodo prestazioni assistenziali e perché è incostituzionale

Intervento del professor Mario Carolla sul disegno di legge voluto dal ministro Roberto Calderoli

Il testo del disegno di legge sull’autonomia differenziata voluto dal Ministro Calderoli, allo stato attuale delle cose, sembra ermeticamente blindato dalla maggioranza. Ciò si evince anche dalle deprimenti e offensive battute che il ministro ha rivolto nei confronti degli esperti intervenuti e della sinistra in genere a margine delle prime audizioni tenutesi il 4 marzo scorso alla I Commissione permanente Affari costituzionali della Camera. 

Come è noto, il DdL aveva iniziato il suo percorso il 2 febbraio dello scorso anno con la prima approvazione da parte del CdM, ma l’idea di Calderoli risale a diversi mesi prima. Tale DdL, i cui articoli sono diventati 11 da 10 che erano inizialmente, è stato approvato il 23 gennaio u.s. in prima lettura al Senato con 110 sì, 64 no, 3 astenuti. Da questo momento il DdL, C. 1665, è passato all’esame della Camera e assegnato alla I Commissione permanente Affari costituzionali, dove con i tre relatori uno per ogni partito della maggioranza è iniziata la discussione l’8 febbraio. Le riunioni preliminari della Commissione sono continuate il 14 e il 21 febbraio; esse avevano all’ordine del giorno generiche disposizioni sul tema; poi, al fine di acquisire il parere di politici ed di esperti del mondo della cultura e delle finanze, oltre che di costituzionalisti, si è giunti al 4 marzo con le prime audizioni ricordate prima, che sono continuate il 12, il 14, il 15 e il 21 tra le quali quelle dei governatori di Marche, Puglia, Campania e Val d’Aosta, dei rappresentanti dell’Anci e per finire con il professor Gianfranco Vieste.

Significativi per la puntualità delle critiche sono state quelle di alcuni docenti universitari, una tra tante quelle del professor Giancarlo Vieste, che ha insistito sul concetto autonomia differenziata uguale secessione dei ricchi, di alcuni sindaci, in particolare quella del sindaco di Pesaro e presidente nazionale di Ali, Matteo Ricci, che ha detto senza mezzi termini che l’Italia dev’essere ricucita e non ulteriormente frammentata, quella dei governatori di alcune Regioni, significativa quella di Emiliano che denunciando una palese scollatura tra DdL e determinazione dei Lep e paventando al termine del percorso ricorsi alla Corte costituzionale, ha poi a margine dell’audizione dichiarato ai giornalisti in forte polemica che è stato già deciso tutto perché a monte c’è stato uno strabico scambio tra Fratelli d’Italia, che vuole l’elezione diretta del premier, e la Lega che vuole che alle Regioni restino i soldi ricavati dall’imposizione fiscale e vuole altresì togliere funzioni e competenze allo Stato centrale. Sono in corso proteste e manifestazioni in tutta Italia organizzate dai partiti di opposizione, dai Sindacati e dalle associazioni progressiste; tra queste spicca il tour in tutta Italia di Flc Cgil per rivendicare i diritti sui temi cogenti che riguardano la scuola.
Allo stato attuale ci troviamo a distanza di quasi 14 mesi dalla prima eclatante e molto reclamizzata approvazione da parte del CdM, e siamo ancora alle discussioni preliminari in Commissione alla Camera con la presunzione del ministro di fare approvare il DdL in via definitiva dal Parlamento entro l’anno in corso (inizialmente il termine era stato fissato per la fine del 2023 ed è poi slittato alla fine del 2024 con il Milleproroghe), cioè entro i prossimi nove mesi, ma è facile immaginare che slitterà ancora.

Ma, a parte queste scaramucce procedurali preliminari e queste improbabili previsioni del ministro, tutto il mondo della cultura e i movimenti che ci tengono al bene del nostro paese e alla sua unitarietà e indivisibilità non possono abbassare la guardia, perché il nodo centrale della riforma resta quello di assicurare i medesimi livelli qualitativi nella erogazione delle prestazioni essenziali (Lep) su tutto il territorio nazionale e su settori importanti (che riguardano oltre alle 20 materie di legislazione concorrente di cui all’art. 117, c. III, che non sto qui ad elencare, cito solo: i rapporti con la Ue, il commercio con l’estero, i porti e gli aeroporti, la protezione civile, la ricerca scientifica, la sanità, la tutela e sicurezza sul lavoro, ecc., vi sono anche  3 materie di competenza esclusiva dello Stato e di fondamentale importanza per la vita dei nostri concittadini di cui all’art. 117, c. II, cioè: l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; n) norme generali sull’istruzione; s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.).

Tale nodo, a mio avviso, non potrà mai essere sciolto se il Governo, come sembra, dovesse ancora insistere sull’idea che per assicurare in tutte le regioni i Lep si deve partire dalla spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio, alla quale sarebbe tenuto ad adeguarsi anche il fantomatico Clep (Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni), presieduto dall’inquieto Sabino Cassese, introdotto per supportare il lavoro della CdR (Cabina di regia), che ha dovuto registrare già le dimissioni di Amato e Bassanini. Il DdL Calderoli potrà pure essere approvato dal Parlamento, ma senza una equa determinazione dei Lep in senso distributivo e ugualitario dei diritti civili e sociali resterà cosa vana e inattuabile.

Questo nodo-macigno si potrà sciogliere solo traguardando l’obiettivo, alquanto improbabile allo stato attuale delle risorse, di una giusta determinazione dei Lep. Tale obiettivo si potrà centrare solo guardando al fabbisogno standard delle Regioni (L. n. 42 del 5-5-2009) che, individuando le loro spese standard, andrebbero veramente incontro al soddisfacimento dei diritti civili e sociali dei cittadini. Faccio notare che il procedere a determinare i Lep attraverso la spesa storica, peraltro, è anche contrario al parere espresso dalla Corte dei conti nel 2001 e alla sentenza n. 275 del 2016 della Corte costituzionale dove si evince che è necessario “dapprima individuare gli interventi di attuazione dei diritti, di seguito, e di conseguenza, decidere la composizione del bilancio.”.
Ma io desidero concludere questo mio intervento con quanto ebbi a dire nel convegno, tenutosi a Brindisi il 20 aprile 2023, organizzato dalla Lega cittadina con il suo Dipartimento “Cultura” e dallo Spi Cgil, con la collaborazione della Flc Cgil, dell’Anpi, dell’Auser.

L'incostituzionalità del Ddl

A me pare, che il Ddl cozzi nettamente contro il senso che promana dai primi cinque articoli della Costituzione [per i quali, sia il prevalente orientamento dottrinale sia quello giurisprudenziale costituzionale (sent.e n. 1146/1988 e n. 2/2004) ritengono che debbano essere sottratti ad eventuali revisioni costituzionali previste dall’art. 138], senso che, aggiungo convinto, non può e non deve essere in alcun modo raggirato né minimamente scalfito da interpretazioni gratuite. 

Cozza contro l’art. 1 perché l’autonomia sancita dalla Costituzione all’articolo 5 e delineata al III comma dell’articolo 116 è un’autonomia in stretta connessione con il principio democratico, con la sovranità popolare e con la solidarietà, principi che nel Ddl sono posti in secondo piano; la nostra Repubblica è concepita non solo come democratica e antifascista, ma anche come solidaristica e fondata sul lavoro, lavoro che deve essere garantito in ogni punto del Paese sempre, a tutti e con lo stesso valore perché il lavoro ha la duplice funzione, non solo di conferire dignità al singolo, ma anche di essere elemento determinante per il miglioramento della intera collettività; continuare ad eludere queste caratteristiche della Repubblica è di estrema gravità e direi vergognoso per una certa politica che non se ne accorge o fa finta di non accorgersene. 

Cozza contro l’articolo 2 perché lascia in una nebulosa il principio personalista (lo Stato deve riconoscere e garantire i diritti inviolabili della persona) e quello pluralista (i diritti inviolabili vanno riconosciuti e garantiti non solo al singolo, ma anche alle “formazioni sociali dove si svolge la sua personalità” e mi pare superfluo portare ad esempio il mondo della scuola). 

Cozza contro il principio di uguaglianza, di cui all’articolo 3, sia sotto il profilo formale perché tutti i cittadini devono avere “pari dignità sociale” che sotto quello sostanziale perché la Repubblica ha il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno…” e non cristallizzarli e/o accentuarli questi ostacoli. 

Cozza anche contro il principio lavorista, di cui all’art. 4, per le cose dette sopra e perché in materia di tutela e sicurezza, già sperimentata negativamente nelle Regioni e province autonome, c’è un forte bisogno di unitarietà nelle scelte, considerata la drammatica realtà che viviamo in Italia fatta da un numero di morti e di incidenti sul lavoro giornalieri impressionanti. 

Ma addirittura cozza contro lo stesso principio autonomista che ha ispirato il DdL, l’art. 5, là dove recita: “la Repubblica, una e indivisibile, promuove le autonomie locali…”. Infatti, questo principio viene interpretato nella maniera sbagliata in quanto si fa prevalere l’esigenza di decentramento di funzioni al fatto che la Repubblica deve restare “una e indivisibile” perché, come ho sottolineato sopra, l’autonomia è un elemento della democrazia delineata dalla nostra Costituzione. 

Ritengo, dunque, che siano percepibili seri dubbi d’incostituzionalità che non potranno che sfociare nei ricorsi alla Corte costituzionale rivolti alla non attuazione di questo mostro legislativo.

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