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Cronaca San Vito dei Normanni

Offensiva anti-caporalato, altri tre arresti per sfruttamento e truffa

Prosegue l'offensiva dei carabinieri del comando provinciale di Brindisi contro il caporalato. Dopo i quattro arresti di lunedì scorso 19 giugno, altre tre ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite nelle prime ore del mattino di oggi a San Vito dei Normanni

SAN VITO DEI NORMANNI  - Prosegue l'offensiva dei carabinieri del comando provinciale di Brindisi contro il caporalato. Dopo i quattro arresti di lunedì scorso 19 giugno, altre tre ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite nelle prime ore del mattino di oggi dalla compagnia di San Vito dei Normanni per concorso in intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro pluriaggravati, e truffa ai danni dell’Inps. Le ordinanze sono state emesse dal giudice delle indagini preliminari del tribunale di Brindisi.

Iaia Annamaria 1967-2Le persone arrestate sono Annamaria Iaia di 50 anni, trasferita alla sezione femminile del carcere di Borgo San Nicola a Lecce; Giuseppe Bello di 49 anni, arresti domiciliari; Anna Errico, 73 anni, arresti domiciliari. Sono tutti originari a residenti a San Vito dei Normanni. I primi due, oltre che di sfruttamento di mano d'opera ai sensi della normativa del 2011 contro il caporalato, e del nuovo modificato articolo 603-bis entrato in vigore dal 4 novembre 2016, rispondono anche di truffa alla previdenza agricola.

Bello Giuseppe 1968-2L’indagine, condotta anche tramite servizi di osservazione e videoriprese lungo gli itinerari e presso un’azienda agricola del Barese, la "Due Erre Srl" di Polignano a Mare, dove si veniva svolta l’attività lavorativa, ha consentito di accertare le responsabilità delle tre persone arrestate in relazione al reclutamento e alla gestione di manodopera sfruttata mediante minacce ed intimidazioni, approfittando, fra l’altro, dello stato di bisogno e di necessità dei lavoratori.

Errico Anna 1944-2Braccianti costrette a prestazioni superiori a quelle previste, a fronte di retribuzioni palesemente sproporzionate e all’obbligo di pagare giornalmente somme di denaro quale corrispettivo per l’intermediazione. Dopo le due precedenti operazioni a Villa Castelli, l'attività investigativa e repressiva si è dunque spostata nell'area della compagnia carabinieri di San Vito dei Normanni, che include anche i centri di San Michele Salentino e Ceglie Messapica ed è sempre stata un territorio di reclutamento intensivo di mano d'opera femminile da parte dei "caporali" assieme a quella di Francavilla Fontana. Destinazioni storiche, le aziende del Sud Barese e quelle del Metapontino.

IL VIDEO DELLA CONFERENZA STAMPA

La storia nella sua struttura non è molto diversa dalle precedenti, quella del blitz di lunedì scorso e quella sfociata nelle condanne di primo grado dell’8 giugno, relative ad attività di caporalato a Villa Castelli. Ma a San Vito dei Normanni è emerso in maniera ancora più netta il sistema di sfruttamento del  lavoro basato su alcuni, precisi caposaldi: la sottomissione totale ai caporali non solo per ottenere comunque una paga mensile sia pur decurtata della metà; orari di lavoro che sommati a quelli dei trasferimenti toccavano le 19 ore giornaliere; la gestione illecita delle giornate lavorate, che la caporale spalmava sulle braccianti, garantendo il raggiungimento di quota 159 a talune, e del minimo di 102 ad altre per il conseguimento dell’indennità di disoccupazione agricola, truffando così l’Inps.

foto conferenza stampa caporalato san vito-2

Un sistema perfetto, scardinato con la collaborazione di tre braccianti, due donne e un uomo, i quali resi maggiormente consapevoli dei propri diritti, ed edotti della nuova normativa grazie ai mezzi di informazione (che gli inquirenti ringraziano) si decideva a rivolgersi ai carabinieri. Da qui è nata l’attività investigativa, cominciata con il monitoraggio dell’abitazione della Iaia, dove avveniva il via vai delle lavoratrici che andavano a ritirare le buste paga e gli assegni, e dove le stesse poi tornavano per versare l’equivalente dei 10 euro per giornata di lavoro spettante alla caporale.

Per avere una idea esatta della speculazione sul lavoro cui erano soggette le parti lese, il sostituto procuratore anziano Raffaele Casto, che attualmente regge la procura di Brindisi, ha spiegato che in base al contratto di lavoro della categoria, all’indennità di viaggio e a quella di percorso previste, il salario loro giornaliero sarebbe stato di 131,97 euro mentre la paga effettivamente percepita dalle braccianti era di 59,53 euro da cui detrarre anche i 10 euro da passare ai caporali.

procura di Brindisi-2

La destinazione delle squadre reclutate da Bello e dalla Iaia, era una società di commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi freschi e conservati di Polignano a Mare, di cui la caporale era già stata operaia agricola e di cui il complice risultava assunto come autista. La ditta non è stata sottoposta a misura cautelare solo perché colpita da sequestro preventivo da parte dei carabinieri della somma di 3.600 euro, ritenuto il corrispondente del profitto del reato di truffa consumato (una seconda ipotesi non è stata consumata per intervento degli inquirenti). Ciò ha convinto il gip che non vi sarebbe stata possibilità di prosecuzione del reato.

Annamaria Iaia e Giuseppe Bello, spiegano gli investigatori, si erano accorti che qualcuno stava facendo saltare il sistema, ed intervennero per inquinare le prove, tentando di convincere le lavoratrici a negare l’obbligo del versamento dei 10 euro giornalieri ai caporali, e inizialmente ci erano riusciti. Da qui la decisione dello stesso giudice delle indagini preliminari, all’esito dell’esame degli elementi probatori prodotti dal pm, di disporre la custodia cautelare in carcere per la Iaia, e quella domiciliare per Bello e la madre della Iaia, la Errico, che a sua volta era addetta all’incasso di queste quote in assenza della figlia.

Una radiomobile del Norm di San Vito

Le squadre dirette all’azienda di Polignano a Mare erano composte da alcune decine di lavoratori. I carabinieri ne hanno identificato prima 20, poi altri 28, tra i quali alcuni rumeni e marocchini, e in questo caso lo stato di necessità non era solo quello di una soglia minima di sopravvivenza, ma anche quello di garantirsi il permesso di soggiorno. Sono stati questi braccianti a raccontare e a confermare ciò che i carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni avevano rilevato con pedinamenti, indagini presso l’Inps, e impiego del Gps, delle intercettazioni ambientali e telefoniche, e le videoriprese.

Tra gli elementi di maggiore rilievo, il sequestro di biglietti e appunti scritti di pugno dalla Iaia, una sorta di contabilità dei versamenti effettuati da lavoratrici e lavoratori arruolati nelle sue squadre. Gente che era costretta a imbarcarsi sui furgoni dei caporali indagati (un Fiat Ducato intestato alla “Due Erre Srl” e già di proprietà della stessa Iaia, e un Fiat Scudo intestato alla stessa caporale, uno dei quali sequestrato dai carabinieri nell’ambito dell’operazione odierna) alle 3,30 nei giorni feriali e alle 3 nei festivi da San Vito, e alle 3,45 e dalle 3,15 da Carovigno, per rientrare la sera tra le 19 e le 23. L’orario di lavoro reale, poi, non era di 6 ore e 30, ma di 10 ore e 30, e quel poco di straordinario riconosciuto scattava solo dopo dieci ore e mezza di lavoro.

Carabinieri della compagnia di San Vito

A ciò, si aggiungevano ritmi di lavoro massacranti, senza soste per cibo e talvolta anche per i bisogni fisiologici, e l’intimazione, da parte dei caporali, di tacere sulla realtà della situazione in caso di controlli stradali da parte delle forze dell’ordine: l’ordine era di dichiarare che la Iaia era una operaia agricola come le altre; che tutti lavoravano per una impresa di Polignano per 6 ore e 40 al giorno; che l’autista non era lo stesso e che era dipendente della società agroalimentare dove veniva prestato il lavoro.

Al bastone si aggiungeva però anche la carota. Le intercettazioni provano che la Iaia gestiva le truffe alla previdenza agricola presentandole come favori fatti alle lavoratrici. Emblematico uno dei colloqui: “Tu non sai neanche quante giornate hai fatto! Non sai un cazzo! Hai fatto 159 giorni…Quest’anno glielo abbiamo messo tutto nel culo…l’anno scorso hai fatto le marchette”. E ancora: “Perché se tu superi le 102 giornate, ti facciamo la domanda di disoccupazione…sono duemila euro…non è che si trovano a terra”.

Gli uffici della procura e del gip a Brindisi

Ovviamente per chi non accettava tali condizioni c’era solo il licenziamento, la perdita del lavoro, il rischio di restare a terra di fronte ai problemi posti dal proprio stato di bisogno. Il magistrato che attualmente regge l’ufficio del procuratore, Raffele Casto, sottolinea l’alta specializzazione raggiunta dalla procura di Brindisi e dai pm che indagano sul caporalato nel coordinare la raccolta di quegli elementi di reato richiesti dalla normativa sul caporalato per poter procedere efficacemente contro la rete di sfruttamento esistente nel Brindisino, che certamente non è la situazione peggiore in Puglia, ma è comunque uno degli scenari storici del caporalato.

Prima era una battaglia contro i mulini al vento, si rischiavano – soprattutto da parte di lavoratori e sindacalisti – rappresaglie anche violente. Il caporalato riusciva continuamente a cambiare pelle e a nascondersi dietro società fittizie che venivano chiuse dopo il “colpo” ai danni dell’Inps. Oggi ci sono strumenti più efficaci anche se imperfetti, soprattutto nell’accertamento delle responsabilità delle aziende che impiegano mano d’opera oggetto di sfruttamento, conducendo una concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori agricoli onesti.

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