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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca

Bambina lo accusò di violenza sessuale, sarà processato a marzo

BRINDISI - Per il gup Paola Liaci, nessun dubbio: il 70enne indagato per atti di libidine violenta nei confronti di una bimba di sette anni, figlia di amici di famiglia, va processato. Data fissata, quella del 2 marzo 2011. E’ questo l’esito dell’udienza preliminare che si è tenuta questa mattina a carico del brindisino Francesco Vitale, arrestato l’8 marzo scorso dalla squadra mobile dopo le rivelazioni della piccola vittima, nata e residente nel Leccese, e la denuncia della mamma di lei, la prima a cui aveva affidato il racconto delle oscenità subite. Decisione prevista e prevedibile, che tuttavia ha colto di sorpresa l’indagato ancora sottoposto a misura di custodia cautelare, che non ha mai smesso di proclamarsi innocente, rigettando con forza (e spesso in lacrime) le accuse infamanti a proprio carico.

BRINDISI - Per il gup Paola Liaci, nessun dubbio: il 70enne indagato per atti di libidine violenta nei confronti di una bimba di sette anni, figlia di amici di famiglia, va processato. Data fissata, quella del 2 marzo 2011. E’ questo l’esito dell’udienza preliminare che si è tenuta questa mattina a carico del brindisino Francesco Vitale, arrestato l’8 marzo scorso dalla squadra mobile dopo le rivelazioni della piccola vittima, nata e residente nel Leccese, e la denuncia della mamma di lei, la prima a cui aveva affidato il racconto delle oscenità subite. Decisione prevista e prevedibile, che tuttavia ha colto di sorpresa l’indagato ancora sottoposto a misura di custodia cautelare, che non ha mai smesso di proclamarsi innocente, rigettando con forza (e spesso in lacrime) le accuse infamanti a proprio carico.

Dopo un silenzio lungo anni, grazie all’occhio attento della madre che aveva scorto macchie precoci sulla biancheria intima della figlia, la piccola vittima ha buttato fuori ricordi mostruosi, impronunciabili. L’intimità lasciva alla quale l’amico di famiglia, cui era stata affidata mentre la mamma e il compagno si recavano al lavoro, l’avrebbe costretta spingendola spalle al muro. La prima volta a sette anni. E poi ancora, un anno prima dell’arresto. Donnina dodicenne, iniziata brutalmente al sesso, e sottomessa alla stessa oscena forza, gli stessi gesti, la stessa violenza, per ben tre volte, durante un soggiorno estivo datato giugno 2009. In una occasione, persino sotto gli occhi della moglie di lui, che pare non si sia mai accorta di nulla.

Parte integrante dell’impianto accusatorio, l’incidente probatorio chiesto e ottenuto dal sostituto procuratore Myriam Iacoviello. La bimba è stata sottoposta in più sedute consecutive, all’ascolto della psicoterapeuta Paola Calò, incaricata dal tribunale. Gli esiti di quei colloqui nello studio privato della professionista, di stanza a Lecce, stanno in una relazione di circa trenta pagine, a conclusione delle quali la consulente scrive che la bambina è “capace di rendere testimonianza”, e ancora, che malgrado la giovanissima età (oggi ha dodici anni) è “persona credibile in relazione ai fatti per cui si procede”.

Dunque, la bambina non mentirebbe, e gli abusi di cui racconta non sono frutto di fantasie, ma la realtà angosciosa tenuta segreta fino a quando la mamma, per prima, non ha scorto delle strane macchie sulla biancheria intima. Fino a quando quella mamma, preso il coraggio a due mani, non ha chiesto. E saputo. Il ritratto che emerge dalla perizia è quello di una bambina in uno stato di profonda prostrazione, e sofferenza. E’ intelligente, vivace, e collabora. Risponde spedita alle domande che la terapeuta le pone, sulla vita famigliare, sul papà e sul nuovo compagno della mamma. Ma quando si tratta di parlare di Franco, si fa improvvisamente reticente. Prova vergogna, e persino un rituale, per quanto assurdo senso di colpevolezza.

Preferisce scrivere.  Nel linguaggio dei bambini, narra quello che le è accaduto in due episodi, avvenuti a tre anni di distanza l’uno dall’altro. Irripetibili. Identici l’uno all’altro. Consumati nella casa di campagna dove l’uomo viveva, e nella quale lei era andata a stare per qualche giorno affidata dai suoi agli amici di famiglia, dei quali non avevano mai avuto modo di dubitare.  Uno dei due nella porcilaia, dove s’era fatta portare perché aveva saputo che la scrofa aveva partorito i porcellini, bestiole che lei smaniava di vedere, con la curiosità dell’infanzia. E s’era trovata invece a vivere un incubo che aveva tenuto serrato stretto nel fondo del fondo dei ricordi, minacciata da frasi del tipo: “Se lo dici a qualcuno, te lo rifaccio”.

I test somministrati dalla terapeuta hanno dimostrato che la bambina ha la maturità cognitiva per testimoniare, per affrontare un processo. Ma i reati di cui parla, sono ancora reati “presunti”. Non è la terapeuta che può dire se Francesco Vitale, l’uomo additato dalla piccola vittima come autore degli abusi, sia veramente il colpevole. La difesa dell’avvocato Paolo D’Amico, sulla scorta delle dichiarazioni d’innocenza dell’imputato, è pronta a sfoderare tutt’altra tesi. Top secret, fino all’inizio del dibattimento.

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