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Falsi diplomi, chiusa l'indagine

BRINDISI - Ventuno avvisi di fine indagine sono stati notificati ad altrettante persone che, stando alle risultanze di un’inchiesta della Procura di Brindisi, avrebbero fatto parte di una associazione per delinquere per il conseguimento di falsi diplomi di scuola superiore. Le indagini sono state condotte dal pm Raffaele Casto e hanno riguardato un giro illecito che sarebbe stato gestito dai responsabili di scuole paritarie e private nelle province di Brindisi e Lecce.

BRINDISI - Ventuno avvisi di fine indagine sono stati notificati ad altrettante persone che, stando alle risultanze di un’inchiesta della Procura di Brindisi, avrebbero fatto parte di una associazione per delinquere per il conseguimento di falsi diplomi di scuola superiore. Le indagini sono state condotte dal pm Raffaele Casto e hanno riguardato un giro illecito che sarebbe stato gestito dai responsabili di scuole paritarie e private nelle province di Brindisi e Lecce.

Oltre all’associazione per delinquere agli indagati sono stati anche contestati i reati di abuso di ufficio, alla corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, falsa dichiarazione sostitutiva di certificazione. Il capo e promotore sarebbe un 58enne di Brindisi, Marco Macchitella, al vertice della scuola paritaria “Icos” di Lecce, la sede in cui “si conseguivano titoli di idoneità, superavano esami intermedi o finali aventi valore legale” in cambio di denaro.

Coloro che intendevano ottenere i diplomi, anch’essi iscritti nel registro degli indagati, venivano reclutati a Francavilla Fontana, Ostuni e San Donaci, in scuole paritarie in cui avrebbero dovuto avere luogo le lezioni e nelle quali sono state piazzate microspie che hanno consentito di scoprire le presunte irregolarità.

Sono accusati di aver fatto parte dell’associazione per delinquere anche Giuseppe Toraldo, 56enne brindisino, incaricato di gestire le pratiche e Maria Enza Macchitella, 62 anni, che possedeva alcune delle quote della “Giovanni Pascoli Srl”, uno degli istituti privati, con sede nel Brindisino.

Il sistema, stando all’impostazione della Procura, era il seguente: si pagava per ottenere la garanzia di superare gli esami senza alcuna difficoltà, a prescindere dal merito. Il corrispettivo veniva chiamato “tassa esame” o “tassa di frequenza”: si trattava di somme versate “con la consapevolezza dell’inutilità dei corsi, come compenso illecito per il rilascio degli attestati”.

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