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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

La tragedia della "Brin". Alla vigilia del centenario il mistero resta intatto

L'occasione delle ormai imminenti celebrazioni riguardo il Centenario della "Grande Guerra" (1915 - 1918) che sul territorio brindisino vedrà impegnate istituzioni, associazioni e studiosi dell'evento, mi sollecita a ricordare la tragedia accaduta nel porto di Brindisi, quando esplose, saltando per aria, la nave ammiraglia della Regia Marina Italiana "Benedetto Brin"

L’occasione delle ormai imminenti celebrazioni riguardo il Centenario della “Grande Guerra” (1915 – 1918) che sul territorio brindisino vedrà impegnate istituzioni, associazioni e studiosi dell’evento, mi sollecita a ricordare la tragedia accaduta nel porto di Brindisi, quando esplose, saltando per aria, la nave ammiraglia della Regia Marina Italiana “Benedetto Brin”.

Quel lunedì 27 settembre 1915, a Brindisi, si profilava una splendida giornata di sole. Sulla banchina di via Regina Margherita un buon numero di persone si era assiepato per assistere al rito dell’alzabandiera. Al lungomare era ormeggiato l’incrociatore Vittor Pisani con alcune unità dello Stato Maggiore della Marina.

Le corazzate erano sistemate nell’avamporto, mentre tra il canale Pigonati e Forte a Mare erano ancorate la ‹‹Dante Alighieri››, la ‹‹Nino Bixio››, la ‹‹Emanuele Filiberto›› e la ‹‹Benedetto Brin›› (14mila tonnellate di stazza), che era alla fonda nel porto medio, all’altezza di quella che poi diventò la spiaggia di Fontanelle e poi Marimist.

Alle otto in punto, la cerimonia dell’alzabandiera fu eseguita, come di prassi, sulle note della Marcia Reale, era poi consuetudine che la conclusione avvenisse al suono di una vivace marcetta e fu proprio in quel momento che avvenne il cataclisma. Potente, furiosa, tragica, l’onda d’urto seminò disperazione e morte tra l’equipaggio della ‹‹Benedetto Brin››, saltata per aria.

Il bilancio in vite umane fu disastroso, il numero delle vittime fu di 456 uomini: 433 marinai e 23 ufficiali, tra questi ultimi ci furono il contrammiraglio Ernesto Rubin de Cervin e il capitano di vascello Gino Fara Forni, comandante della nave. Si era in periodo di guerra e si diffuse subito la notizia di un vile attentato, ma ogni varco di accesso sottomarino al porto di Brindisi era ostruito da una rete metallica, costantemente controllata, tenuta tesa da galleggianti.

La Benedetto Brin semisommersaLa rete ad un’accurata ispezione di esperti palombari risultò assolutamente integra, tale testimonianza fu resa e verbalizzata nella Capitaneria di porto. La la ridda delle varie e numerose ipotesi, la Divisione Generale di Artiglieria e Armamenti del Ministero della Marina di Roma prese in considerazione una lettera manoscritta del comandante Forni, datata 4 luglio 1914 – Prot. N.2927/Ris. - che denunciava  la ‹‹la deficienza di ventilazione e di refrigerazione della “Santabarbara”››, ovvero del deposito munizioni inopportunamente collocato nelle immediate adiacenze della sala motori.

Si stabilì, tra l’altro, che nel detto deposito era stata anche collocata la partita n. 29 di balistite, potentissimo esplosivo composto da nitroglicerina e cotone collodio in parti uguali, fragorosissima e dilaniante nello scoppio, con la caratteristica di bruciare senza fumo. Era più di un indizio o di una suggestione e si pensò quindi ad un più che probabile processo di autocombustione.

Furono aperte quattro inchieste ministeriali e militari che chiarirono veramente poco; fu escluso il dolo, furono esclusi il sabotaggio e l’avaria occasionale; si ritornò a ipotizzare, ma con toni smorzati, l’attentato, poi si scrisse confusamente qualcosa che diceva e non diceva: ‹‹L’esplosione è avvenuta in seguito a qualche imprudenza di coloro che, per servizio, dovevano in quell’ora trovarsi in santabarbara, o per combustione spontanea degli esplosivi, tuttavia nessuno può fornire chiarimenti: i testimoni sono tutti scomparsi e gli esplosivi distrutti.››

La Brin dopo l'esplosioneUn modo incredibilmente sibillino e originale per archiviare l’infausto evento, perché non se ne parli più!  Don Pasquale Camassa, attento storico dell’epoca, nonché tra i testimoni della dolorosa circostanza, in una sua corrispondenza scrisse: ‹‹Nessuno sapeva nulla di preciso di cosa fosse successo. Un cordone di marinai tratteneva a stento i civili con lo sguardo dritto verso il Canale Pigolati, ma una fitta nebbia impediva di vedere qualcosa. Tutto il popolo in un istante fu sulla banchina del porto. Sul volto di ciascuno si leggeva la profonda commiserazione per le vittime dell’immane disastro.››

A 99 anni da quel tragico evento, vista l’importante cadenza cui si va incontro, sarà doveroso trattare con ampiezza di particolari quella luttuosa esplosione, tanto per cercare di portare un contributo di possibile chiarezza, ma soprattutto perché le 456 vittime reclamano di essere ricordate e di non cadere nell’ingiusto, assoluto oblio.

        

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