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Cronaca San Vito dei Normanni

“Quel dente mi sono messo in bocca a rischio che lo ingoio”

Le intercettazioni dell'inchiesta Coyote dal nome di uno degli indagati su Whatsapp: "Coca buona, non la taglia molto". Venduta a 50-70 euro a dose, nascosta nei muretti a secco e nei vasetti di conserve: "Portami l'Oki". Debiti da riscuotere nelle conversazioni con le fidanzate. A piede libero una ragazza

SAN VITO DEI NORMANNI – Veloci come coyote negli scambi, consapevoli di avere i carabinieri alle costole, nemici giurati con in testa il maresciallo Antonio Palma della stazione di San Vito: i militari della locale compagnia al comando del capitano Diego Ruocco, alla fine, quel gruppo lo hanno stanato dimostrando di essere più celeri di chi si faceva chiamare Coyote, tanto da essere registrato così su Whatsapp. Anche se i cinque le hanno tentate tutte pur di non essere stanati arrivando persino a nascondere la cocaina in bocca.

VERGINE Nole, classe 1978-3Ha rischiato parecchio Noel Vergine (nella foto accanto), ritenuto “in posizione sovraordinata rispetto agli altri indagati” e lo ha ammesso parlando con un amico, al quale ha raccontato di un controllo subito, credendo che usare un linguaggio criptico lo avrebbe messo al riparo da ogni accusa. “Quel dente mi sono messa in bocca, a rischio che me lo ingoio”, dice all’altro il 18 giugno scorso.

Ai domiciliari, oltre a Vergine, sono ristretti Cosimo Nigro, Giuseppe Macchitella, Gianfranco Martino e Andrea De Palma. Indagata a piede libero Luana Olimpio, per la quale il pm Valeria Farina Valaori aveva chiesto la stessa misura cautelare, ma il gip ha evidenziato lo status di incensurata della ragazza finita sotto inchiesta per due episodi di cessione.

“Portami l’Oki”, dirà alla ragazza Andrea De Palma il 19 maggio scorso. De Palma era stato già arrestato dai militari della stazione di San Vito il 26 marzo, assieme a Giuseppe Macchitella: erano nella Golf di proprietà della madre di De Palma, furono seguiti sino in contrada Ospedale, dove i carabinieri scoprirono cocaina nascosti in birilli di cellophane nascosti nel muretto a secco. In quella occasione furono sequestrati 890 euro, somma ritenuto provento dello spaccio.

 La cocaina era considerata di “buona qualità perché non la taglia molto”, si sente in un’ambientale registrata nell’auto, una Golf, in uso a uno degli indagati: “Voglio pippare da ora sino a domattina, dammi la scheda”. Poi lo spostamento nella zona di Gallipoli, dove avrebbero preso altra sostanza stupefacente che veniva nascosta nei muretti a secco di altre contrade di San Vito dei Normanni, come Cordallicchio e Specchia stando ai ritrovamenti fatti dai carabinieri durante i mesi estivi, soprattutto tra luglio e agosto. Sotto massi di pietra sono stati trovati mannitolo e procaina usati per il confezionamento delle dosi destinate allo spaccio sulla piazza di san Vito dei Normanni, alimentata da figli di liberi professionisti, sostengono i militari che hanno documentato una serie di cessioni veloci. Veloci come i coyote, appunto. In alcuni casi, la droga veniva nascosta in vasetti usati solitamente per le conserve.

I clienti pagavano somme tra 50 e 70 euro per una dose di cocaina, ma non tutti erano puntuali nei pagamenti, tanto che la questione “debiti in sospeso” avrebbe creato più di qualche nervosismo tra gli indagati, determinati a ottenere il saldo. Dalle conversazioni intercettate in ambientale, il pubblico ministero ha evidenziato nella richiesta di arresto che la questione denaro aveva monopolizzato anche i discorsi tra alcuni degli indagati e le fidanzate.

“Amo’ mancano 650 euro, meno 200, 450, e poi altri 400 euro e duecento a testa”. E ancora: “Se ti ferma e ti chiede qualcosa, tu mi hai dato 150 euro, non te ne fottere niente”. Il sospetto investigativo è che tra gli indagati fosse stata creata una sorta di società o quanto meno una cassa comune per gli introiti dello spaccio da cui attingere per sostenere i pagamenti di nuove forniture.

Gli indagati saranno ascoltati lunedì prossimo dal gip che ha firmato l’ordinanza di arresto ai domiciliari, ritenendo  congrua la misura in relazione alla “gravità dei fatti contestati e della pena prevista in caso di condanna”: “non potrà essere concesso a nessuno il beneficio della sospensione condizionale e la pena sarà superiore a tre anni di reclusione”.

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