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Cronaca

Tangenti all'obitorio dell'ospedale: "Il giro funzionava così"

BRINDISI – Nominato il perito per effettuare la trascrizione delle intercettazioni telefoniche, il processo per il traffico di favoritismi attorno alle salme nell’ospedale Perrino è entrato nel vivo con la testimonianza dell’imprenditore funerario Franco Fiorini, e subito dopo con il direttore medico di presidio (direttore sanitario) Antonio Piro, entrambi citati dalla pubblica accusa rappresentata da Giuseppe De Nozza.

BRINDISI – Nominato il perito per effettuare la trascrizione delle intercettazioni telefoniche, il processo per il traffico di favoritismi attorno alle salme nell’ospedale Perrino è entrato nel vivo con la testimonianza dell’imprenditore funerario Franco Fiorini, e subito dopo con il direttore medico di presidio (direttore sanitario) Antonio Piro, entrambi citati dalla pubblica accusa rappresentata da Giuseppe De Nozza.

Il primo è uno degli imprenditori di pompe funebri scontento per come andavano le cose nell’ospedale Perrino, quando venivano chiamate sempre le stesse imprese di pompe funebri per i cadaveri che dovevano uscire dalla camera mortuaria del nosocomio. Gli imputati in questo processo sono diciotto.

Oltre ad Alessandro Bocchini, responsabile di Medicina legale e della camera mortuaria, ed ai  tre dipendenti dell’Asl di Brindisi, impiegati come personale Ota (Operatore tecnico dell’assistenza) presso la camera mortuaria: Rita Laveneziana (andata in pensione nel 2008), Mario Faggiano e Antonio Grande, sono imputati gli impresari di pompe funebri:  Teodoro Giustizieri, Marco Giustizieri, Domenico Genco, Caterina Gatto, Maurizio Manfreda, Antonio Pietanza, Giacomo Leo, Daniele Leo, Giuseppe Giustizieri, Alessandro Stasi, Vincenzo Curia, Lorenzo Stabile e Michele Palazzo, tutti brindisini, tranne Palazzo, che è di Mesagne, e Curia e Manfreda che sono di San Pietro Vernotico.

Il medico è accusato di falso in atto pubblico per avere “redatto falsi reperti di vista necroscopica, nei quali attestava, contrariamente alla realtà, di avere eseguito la visita necroscopica” su diciannove salme di persone decedute nell’ospedale. Il medico, in pratica, avrebbe stilato questi referti, senza effettuare la visita, datandoli il giorno successivo alla morte. I tre dipendenti della Asl rispondono  di avere promosso un’associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di reati di corruzione e peculato, capi di imputazioni condivisi questi ultimi due con i titolari delle pompe funebri.

Inoltre i tre “Ota” rispondono di peculato, essendosi, secondo la pubblica accusa appropriati della cifra che gli impresari di pompe funebri consegnavano (poco più di cento euro a defunto) per l’accertamento immediato della morte con elettrocardiogramma (ai sensi dell’art. 8 del regolamento di Polizia mortuaria). Cifra che spetta all’Asl.

I fatti risalgono agli anni 2005/07. In città si era venuto a creare un vero e proprio monopolio del caro estinto nell’ospedale Perrino. Da lì le salme uscivano solo se ad effettuare il funerale erano le imprese di pompe funebri di Giustizieri, Genco, Gatto, Curia, Stabile e altri ancora. Ci furono delle denunce e, passo dopo passo, gli  investigatori riuscirono a svelare il mistero. Nella camera mortuaria operavano tre dipendenti che avevano pensato bene di mettere su un vero e proprio mercato.

Dietro compenso – secondo le accuse - avvertivano alcuni impresari di pompe funebri non appena avveniva un decesso e il cadavere veniva trasportato nella camera mortuaria dell’ospedale. In questo modo, l’impresario contattato avvertiva immediatamente i parenti del defunto e si assicurava il funerale. Inoltre questi tre, assieme ad Anna Ciracì (la quarta del gruppo che risponde di associazione per delinquere) si incaricavano, sempre dietro compenso da parte delle imprese funebri amiche della vestizione delle salme, sia di quelle decedute in ospedale, sia di quelle morte fuori dal nosocomio. Capo dell’associazione, stando all’accusa, è Rita Laveneziana, brindisina sessantenne.

Franco Fiorini è stato sottoposto a un fuoco di fila di domande per oltre due ore. Ha ricostruito, dal suo punto di vista, quello che accadeva nel Perrino con i corpi delle persone decedute in ospedale. “Erano tre i dipendenti dell’ospedale a cui bisognava rivolgersi – ha detto Fiorini -. Sempre loro, Laveneziana, Faggiano e Grande. Ci si rivolgeva a chi era di turno. I turni se li facevano loro”. E poi ha detto che per la vestizione dei cadaveri, a volte anche quelli non deceduti in ospedale, venivano chiamati sempre questi tre, sebbene ci fossero altre persone, non dipendenti dell’ospedale, che effettuavano questo servizio.

Poi è stata la volta di Piro. Il dirigente dell’Asl di Brindisi, in carica all’epoca dei fatti, poi trasferito e tornato nella Asl in questione nel 2009 a seguito di ricorso giudiziario vinto,  ha riferito al tribunale (presidente Giuseppe Licci) come si svolge l’iter dopo un decesso. “Dopo qualche ora – ha spiegato Piro -, il cosiddetto breve periodo di informazione, la salma viene trasferita da un infermiere del reparto nel quale si è verificato il decesso, coadiuvato da un dipendente Ota. Dal reparto il ‘soggetto inanimato’ scende con relativo certificato di morte e certificato Istat. E prima che il ‘soggetto inanimato’ venga dichiarato morto occorre sottoporlo ad autopsia. Che non può essere effettuata prima di quindici e dopo trenta ore”.

Piro ha spiegato che l’autopsia si effettua non prima di quindici ore perché dopo tale lasso di tempo si manifestano i “sintomi tanatologici”: rigidità, tremori, ematomi e altro. Ed ha chiarito che la sepoltura (o “incassettamento”) non può essere fatta prima di 24 ore dal decesso. Tranne in alcuni casi molto manifesti, come chi finisce travolto da un treno o, comunque, maciullato.

A volte per anticipare i tempi, all’epoca dei fatti, si poteva ricorrere ad un elettrocardiogramma che durava venti minuti. Dopo tale tempo, se non vi era attività cardiaca, veniva dichiarata la morte, e autorizzata la sepoltura. “Attività – ha spiegato Piro – che veniva fatta a richiesta e quindi a pagamento”. L’accusa sostiene che questi soldi finivano nelle tasche dei tre dipendenti Ota.

Piro si è soffermato sui rilievi che a suo tempo vennero fatti ai tre Ota e sul trasferimento disposto dal direttore generale solo nel 2008 e operato da Piro quando nel 2009 è tornato a Brindisi: Grande all’archivio cartelle cliniche e Faggiano a guidare una vettura dell’Asl. Infine ha ricordato che nel 2004 ci furono diversi esposti per come veniva gestita la riconsegna dei defunti alle famiglie.

Fanno parte del collegio di difesa gli avvocati Ernestina Sicilia, Concetta de Giorgi, Fabio Di Bello, Emilia Marinosci, Giuseppe Guastella, Alessandro Longo, Orazio Vesco, Ladislao Massari, Pietro Monaco, Francesca Palazzo, Liana Serafino, Ferruccio Gianluca Palazzo, Lorella Simone, Rosario Almiento, Mauro Masiello, Angelo Iaia e Raffaele Missere.

Parte civile per l’Asl è l’avvocato Montera, costituito sia per tutelare l’interesse dell’Azienda con la individuazione della responsabilità dei dipendenti infedeli, sia per difendere l’azienda che viene chiamata in causa per l’operato degli stessi dipendenti infedeli. Come farà a chiedere contestualmente la condanna e la loro assoluzione?

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