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La Cgil si schiera: "Regione Salento? Meglio evitarla"

BRINDISI - Il progetto di una "Regione Salento" non conviene neppure la Cgil. La segreteria regionale del sindacato e le segreterie delle Camere del Lavoro di Brindisi, Lecce e Taranto hanno diramato un documento in cui affrontano la questione ed esprimono la loro motivata contrarietà ad un'idea che colpirebbe soprattutto il percorso di sviluppo intrapreso dalla Puglia.

BRINDISI - Il progetto di una "Regione Salento" non convince neppure la Cgil. La segreteria regionale del sindacato e le segreterie delle Camere del Lavoro di Brindisi, Lecce e Taranto hanno diramato un documento in cui affrontano la questione ed esprimono la loro motivata contrarietà ad un'idea che colpirebbe soprattutto il percorso di sviluppo intrapreso dalla Puglia.

"Il pericolo maggiore che il Mezzogiorno deve riuscire a scongiurare è quello di rinchiudersi in un ristretto localismo, capace di compromettere lo sviluppo del   processo di integrazione del Paese, basato sulla valorizzazione delle risorse presenti sull’intero territorio nazionale. Per cui la proposta di costituzione della regione Salento appare asfittica e di corto respiro. E’ il modo più sbagliato per affrontare un problema di marginalizzazione del territorio, più volte sbandierato.

In un’economia sempre più globalizzata, invece, contano di più i territori che si aggregano e riescono a fare sistema, recuperando su questo versante una maggiore capacità competitiva. E’ un concetto che assume maggior valenza per un territorio come il Salento, dove in maniera stridente si scontrano punti di forza e punti di debolezza.

Una delle motivazioni utilizzate dai promotori, si riferisce al modo in cui in tema di  infrastrutture, altre aree pugliesi facciano la parte del leone a discapito del Salento. Una tesi smentita dall’analisi degli indici infrastrutturali delle province italiane che pongono Brindisi in posizione di vertice, seguita anche se a distanza da Taranto.

Peraltro, non è un caso che proprio in queste province si concentra la presenza dei maggiori gruppi industriali italiani ed esteri presenti sul territorio pugliese: Alenia, Agusta, Avio, Enel, Eni, Evergreen, Edipower, Ilva, Cementir, Marcegaglia, Westas, Polimeri Europa, Sanofi-Aventis, Basell, Natuzzi, Dreher (tanto per citare i più importanti).

Molti di questi investimenti sono stati realizzati grazie a contratti di programma che hanno impegnato ingenti risorse finanziarie da parte del Governo nazionale e maggiormente della Regione Puglia, per ultimo quello che ha riguardato l’insediamento di Alenia a Grottaglie e che ha contribuito a sostenere la nascita del distretto aerospaziale, che proprio fra il territorio di Brindisi e Taranto trova il suo nucleo centrale di sviluppo.

La stessa impennata del turismo, che vede la realtà di Lecce primeggiare fra quelle con maggiore capacità attrattiva a livello nazionale, non si è verificata per caso, bensì per le politiche messe in campo a livello ragionale.

Certo, non si possono sottacere problemi riferiti ai ritardi del Governo nazionale nel deliberare investimenti che riguardino la portualità o infrastrutture nel campo della viabilità, fra i quali il completamento della Bradanico Salentina. Oppure il modo assolutamente marginale con cui RFI considera gli investimenti sulla rete ferroviaria della dorsale adriatica, determinando una sorta di isolamento di tutta la Puglia, a partire dalle aree che si affacciano su quel versante. A tal fine si rende indispensabile la realizzazione dell’alta capacità sulla direttrice per Napoli, in maniera da consentire il collegamento col corridoio Tirrenico, sempre più attrezzato per i traffici veloci.

Ed ancora, per la infrastrutturazione delle aree portuali, lo sviluppo della logistica,  le bonifiche delle aree industriali e l’ambientalizzazione degli insediamenti in campo energetico e siderurgico,  il disinteresse del Governo nazionale appare allarmante e finisce per depotenziare l’apporto delle infrastrutture che già insistono sul territorio.

Complessivamente, a mostrare difficoltà a reggere la sfida competitiva è il sistema di PMI, troppo ancorato alla committenza della grande impresa e settori quali il tessile-abbigliamento-calzaturiero, le cui ricadute sul fronte occupazionale assumono toni drammatici, aggravati dall’annunciata chiusura degli impianti di Alenia Aeronavale a Brindisi e BAT a Lecce.

Se questo è il quadro, appare assolutamente insensato pensare che una piccola regione possa essere in grado di darsi una politica industriale capace non solo di difendere insediamenti esistenti, ma di attrarne di nuovi. Oppure di darsi obiettivi di sviluppo del sistema agro-alimentare in mancanza di un bene essenziale come l’acqua, la cui dipendenza da altre regioni in termini di approvvigionamento e disponibilità di impianti risulterebbe insostenibile, anche in termini di costi.

E’ indubbio che in una logica federalista, verso cui va orientandosi il sistema istituzionale, la disponibilità di risorse finanziarie rappresenta il fattore decisivo, fortemente dipendente dal dato del reddito prodotto e dalla capacità contributiva dei cittadini di una regione.

Ebbene, ad oggi, le performance sul fronte del PIL, del PIL procapite e del reddito individuale, relativamente alle tre province interessate, non sembrano tali da garantire un flusso finanziario sufficiente ad assicurare prestazioni e servizi di qualità ai cittadini in tema di sanità, trasporti, istruzione, formazione, servizi sociali.

Ed è proprio la sanità, la cui spesa solitamente assorbe intorno all’80% di un bilancio regionale, l’ambito in cui si manifesterebbero le maggiori difficoltà, tenendo conto che la nuova regione non potrebbe evitare di ereditare una quota del deficit strutturale  della sanità pugliese.

Si tratta di considerazioni che non possono sfuggire all’attenzione dei cittadini e che le stesse Amministrazioni locali, prima di lasciarsi conquistare dalla logica separatista, dovrebbero valutare attentamente.

Lo stesso sbandierato recupero di una supposta identità storico-culturale salentina, non trova conferma nella verifica delle acclarate diverse origini delle popolazioni residenti in questa parte della Puglia.

Così come non corrisponde alla realtà l’idea che le province di Brindisi, Lecce e Taranto costituiscano un sistema integrato, con relazioni privilegiate o prevalenti al proprio interno, sul versante economico e produttivo. Forte è invece il rischio che possano scatenarsi nuove competizioni difficilmente componibili e che per scongiurare la paventata egemonia barese, se ne creino altre.

Occorre invece impegnarsi nella battaglia perché si affermi il principio di pari dignità e delle opportunità di sviluppo territoriale in ambito pugliese, in maniera da scongiurare ogni forma di isolamento.

Si tratta di guardare avanti ad un futuro in cui la classe dirigente delle tre province sappia promuovere e condividere un’azione comune per lo sviluppo, costruire sistemi produttivi a rete, investire nell’industria turistica, organizzare i servizi in maniera coordinata, specialmente in area a urbanizzazione polverizzata quale la provincia di Lecce, rivendicare il dovuto facendo leva sulle tante potenzialità che vanno spese in una logica di forte e produttiva integrazione".

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