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Cultura

Generazione Ilva, la città dell'acciaio

Il 9 luglio 1960 segnò una svolta storica per la città di Taranto. Venne posta infatti la prima pietra dell'Italsider, quarto centro siderurgico d'Italia. A parlare della storia dell'Italsider che in seguito cambierà nome divenendo Ilva, è il giornalista Tonio Attino, autore del libro "Generazione Ilva".

Il 9 luglio 1960 segnò una svolta storica per la città di Taranto. Venne posta infatti la prima pietra dell'Italsider, quarto centro siderurgico d'Italia. La costruzione di quell'impianto autorizzata dal governo Tambroni,  stravolse un territorio e portò con sè negli anni un numero impressionante di morti per infortuni sul lavoro e per malattie dovute potenzialmente all'emissione di benzopirene e diossine emesse dallo stabilimento.

La costruzione del polo industriale rappresentò per il Sud degli anni Sessanta la realizzazione di un sogno, di un miracolo economico come quello che si stava verificando al Nord. L'Italsider portò quindi, inizialmente, tra tutti quei pescatori, coltivatori di cozze, contadini e  operai dell'Arsenale militare di Taranto che indossarono la tuta blu, un grande entusiasmo. Quella nascente classe operaia venne definita da Walter Tobagi una classe di "metalmezzadri", cioè di contadini che sacrificavano la loro vita tra il duro lavoro della campagna e quello altrettanto sfiancante della fabbrica. Una vita fatta di sacrifici nella speranza di un futuro sereno per sè e i propri figli.

A parlare della storia dell'Italsider che in seguito cambierà nome divenendo Ilva,  è un giornalista del Corriere del Mezzogiorno, Tonio Attino, autore del libro "Generazione Ilva" (Besa editrice, pp192, euro 15,00). Attino nato anch'egli nel 1960, racconta la città dei due mari e la generazione dell'epoca dell'acciaio in un reportage in cui si fondono ricordi personali, aneddoti e ricordi dei viaggi a Taranto dei suoi colleghi giornalisti, la visita di papa Paolo VI (che nel 1968 celebrò la messa della notte di Natale tra gli altoforni), le cifre di quelle perdite umane, lo stravolgimento di un bellissimo territorio privato dei suoi simboli, gli ulivi secolari, e contaminato fin nel suo suolo, nel suo mare. E proprio per quella prossimità al mare e per i suoi spazi pianeggianti venne scelta Taranto come sede dell'Italsider, polo industriale che oggi si estende su una superficie di circa 15.450.000 metri quadrati a ridosso del quartiere Tamburi.

In cinquant' anni un vero e proprio disastro ambientale è stato perpetrato nell'indifferenza di molti. Nel libro l'autore racconta infatti di un silenzio complice e si chiede "dove - in quale altro luogo vicino o lontano - centinaia di migliaia di persone hanno osservato senza muovere un dito uno stravolgimento così grande?". Attino nel suo libro mostra ai lettori i retroscena, gli attori protagonisti di questa storia, le testimonianze non ancora note, le battaglie dei giudici e il destino degli altri impianti italiani, quelli di  Bagnoli Sesto San Giovanni, Genova.

La storia dell'Italsider si concluse con la vendita dello stabilimento all'imprenditore Emilio Riva,che  impose all'acciaieria, nel 1995, l'originale nome di Ilva (nome latino dell'Isola d'Elba) e che effettuò cambiamenti, ristrutturazioni nel modo di produrre acciaio e in una parte della classe operaia. Infatti in seguito all'applicazione della legge del 2005 sui rischi derivanti dall'esposizione all'amianto, vi fu un ricambio profondo della classe operaia con il pensionamento di 7800 dipendenti.

Negli anni Duemila con lo scoppio dell'emergenza ambientale, le cokerie vennero fermate per la prima volta dall'ex sindaco di Taranto, Rossana Di Bello. Iniziarono anche le battaglie  degli ambientalisti. Il 26 luglio 2012 l'Ilva venne posta sotto sequestro dalla Procura di Taranto. Diversi i processi penali per inquinamento e per i morti sul lavoro. Nel libro il giornalista del Corriere del Mezzogiorno fa un confronto tra le cifre ufficiali degli operai caduti sul lavoro nei primi tredici anni di attività dello stabilimento tarantino con quelle rese note dai mezzi di informazione, riscontrando grandi differenze.Solo negli ultimi mesi del 2012 e i primi mesi del 2013 possiamo ricordare: Ciro Moccia, Claudio Marsella, Francesco Zaccaria che hanno pagato con la vita quello che dovrebbe essere un diritto per tutti, il lavoro. A Tonio Attino Brindisireport.it ha rivolto qualche domanda.

Cosa lascia la generazione Ilva alla generazione attuale?

"Lascia una città con una presenza industriale unica, opprimente, di dimensioni abnormi. I nostri padri credevano che questa grande industria siderurgica avrebbe rappresentato una speranza. Per molti anni lo è stata davvero, ora non lo è più. Ci è rimasta una grande industria assai ingombrante e assai inquinante, non una speranza né una conquista moderna come si pensava fosse cinquant'anni fa, quando uno schieramento politico che andava dalla Democrazia cristiana al Partito comunista, da Aldo Moro a Giorgio Napolitano, si schierò per dare al Mezzogiorno l'acciaieria dello Stato. La siderurgia fu per Taranto quel che la chimica fu per Brindisi. Ma oggi, né a Taranto né a Brindisi, si può più ragionare come fossimo fermi a mezzo secolo fa. Soltanto l'Ilva - senza contare il cementificio Cementir e la raffineria Eni che si trovano nella stessa area - si estende su quindici chilometri quadrati. Se ci può servire un raffronto, l'Ilva di Taranto è dieci volte più grande dello stabilimento siderurgico di Bagnoli, ormai chiuso, e dieci volte più grande delle acciaierie di Genova-Cornigliano, che continuano a produrre ma hanno abbandonato le lavorazioni a caldo, cioè gli altiforni. Le quote di produzione inquinante sono state trasferite a Taranto. L'Ilva è più grande dell'intera Sesto San Giovanni, dove fino agli anni Novanta c'era uno dei poli industriali più importanti d'Italia e lavorava la Falck. Ecco, di questo stiamo parlando. Senza rendersi conto delle dimensioni di questa fabbrica, non si può comprendere quale storia sia quella di Taranto e come sia pazzesco pensare che tutto possa restare sempre uguale. Soltanto Taranto, in una Puglia così attenta al turismo e all'enogastronomia, continua a rafforzare il suo apparato industriale. La raffineria e il cementificio hanno progetti di ampliamento e l'Ilva ha già una capacità produttiva di dieci milioni di tonnellate di acciaio l'anno. Taranto è una città-fabbrica che produce otto miliardi del Pil italiano. Ce lo ha ricordato il ministro Passera, forse per farci sentire importanti".

Come e quando è nata l'idea di scrivere un libro sull'Ilva?

"In realtà non volevo scrivere un libro sull'Ilva. Volevo scrivere un libro su Taranto. Ma la la storia di questa città non è raccontabile senza la storia dell'industria con cui ha incrociato i destini. Più o meno cinque anni fa proposi l'idea a un editore. Mi guardò stupito e mi rispose: ma invece perché non mi scrivi..... Mi propose cioè di lavorare a un libro del quale non m'importava niente. Già allora invece, quando l'inchiesta della magistratura sul disastro ambientale non era nata, mi solleticava il desiderio di ricostruire una storia dolorosa ed esaltante, che aveva dato speranza e illusioni a migliaia di persone, creato ricchi imprenditori e una classe operaia nata dal riscatto sociale di contadini e pescatori, dai metalmezzadri di cui parlò Walter Tobagi, e poi precipitata, con il declino dell'acciaio, la privatizzazione e l'era di Emilio Riva, nella disperazione. E incredibile, ma è come se una macchina del tempo ci avesse riportati indietro".

Il dossier "Sentieri"dell'Istituto Superiore di Sanità sui siti italiani inquinati nel periodo 2003-2009, mostra l'aumento della mortalità nell'area di Taranto e in particolare l'aumento di tutti i tipi di tumori, delle malattie respiratorie, delle patologie in gravidanza. Cosa sta facendo attualmente la Sanità pubblica per la cura e la prevenzione delle patologie derivanti potenzialmente dall'esposizione alle emissioni nocive dell'impianto tra cui il benzopirene e la diossina?

"Fossi in te lo chiederei al sindaco di Taranto, il responsabile cittadino della salute pubblica. Poi fammi sapere che cosa ti ha risposto. Per la cronaca, già negli anni Novanta l'Organizzazione mondiale della sanità segnalò l'eccesso di tumori legati alla presenza industriale. Nonostante le omissioni, le dimenticanze, le distrazioni degli enti di controllo, dell'impatto della grande industria a Taranto si sa tutto, o quasi tutto, da un bel po' ".

Alla fine di gennaio 2013 la società ha presentato al Ministero dell'Ambiente il rapporto sullo stato di avanzamento dei lavori di risanamento imposti dalle prescrizioni e secondo il rapporto trimestrale Aia del Ministero dell'Ambiente non risultano inadempienze dell'azienda che ha chiesto solo una variazione della tempistica della copertura dei nastri. Si può ancora porre rimedio al disastro ambientale e sanitario?

"Posso ricordare un precedente molto istruttivo. La prima sentenza della magistratura sull'inquinamento derivante dai parchi minerali del centro siderurgico risale al 1982. I vertici dell'allora Italsider furono condannati. Un anno dopo, nel 1983, il direttore dello stabilimento ipotizzò di costruire un muro alto venti metri che dividesse la fabbrica dal rione Tamburi ed evitasse che le polveri finissero nelle case del quartiere. Ovviamente il progetto fu abbandonato. Era una stupidaggine. Ma i parchi minerali, quasi settanta ettari con montagne di carbone alte quindici metri, erano un problema già allora. Sono passati trent'anni. L'Aia, l'autorizzazione integrata ambientale, dà ora all'Ilva tre anni di tempo per coprire i parchi minerali. Se l'opera sarà conclusa, ci saranno voluti, dalla prima sentenza a oggi, trentatré anni. Trentatré anni per coprire i parchi minerali. La città di Brasilia, mi ha ricordato il sociologo Domenico De Masi, fu costruita in quattro anni".

Brindisi come Taranto. Esiste un'alternativa di sviluppo economico in Puglia attualmente?

"Le alternative si costruiscono con lungimiranza. In giro, non ne vedo. Certamente non può esistere nessuna economia che possa cancellare l'industria, ma è impensabile che si possa immaginare l'industria nel modo in cui fu ideata e costruita mezzo secolo fa. Qui pensiamo che questa industria resterà così com'è per secoli. Siamo matti. La Puglia che opportunamente investe su turismo, gastronomia, sul mare e sul suo stupendo entroterra, ha lasciato a Taranto il compito di produrre dieci milioni di tonnellate di acciaio l'anno, il 30 per cento dell'acciaio prodotto in Italia. Quando il governo ci ricorda che Taranto con l'Ilva rappresenta otto miliardi del Pil italiano ci dà la dimensione di come questa terra sia fondamentale per tutti. E quando l'Ilva ricorda ai tarantini che l'acciaieria rappresenta il 75 per cento del prodotto interno lordo di Taranto possiamo avere la dimensione di come, in questo ultimo mezzo secolo, si sia costruita un'economia poggiata su un'industria senza la quale una importante città del Sud torna al punto di partenza: agli anni Cinquanta".

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