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La favola di Bebe Vio cambi il nostro approccio al mondo della disabilità

Abbiamo imparato a conoscerla verso la fine di questa calda estate 2016, Beatrice Vivo, piccola schermitrice italiana alle paralimpiadi e fresco oro azzurro

Abbiamo imparato a conoscerla verso la fine di questa calda estate 2016, Beatrice Vivo, piccola schermitrice italiana alle paralimpiadi e fresco oro azzurro. Le immagini del suo viso dolce, quello di una ragazzina che ha affrontato sfide più grandi di lei, è entrato nelle nostre case nel momento in cui ha posato davanti alle telecamere per mordere quella medaglia d’oro, sovvertendo l’idea classica dell’atleta fisicamente perfetto.

Sì, perché i trofei vinti dagli atleti più forti e rapidi del mondo, dagli storici Bolt e Phelps, solo per fare qualche esempio, impallidiscono davanti alla storia di Beatrice, adolescente che ha portato davanti a miliardi di telespettatori in tutto il mondo, i segni della sua disabilità: un corpo esile tanto segnato dalla meningite quanto capace di far vibrare le corde della nostra sensibilità.

La diciannovenne atleta italiana all’età di 11 anni è stata colpita da una meningite fulminante, un’infezione che non perdona e capace di portare via sogni e speranze, se non anche la vita in un caso su dieci. Ma lei, dopo 3 mesi e mezzo di degenza, e l’amputazione di gambe e avambracci, andati in necrosi per la malattia, non si è data per vinta e ha ricominciato a vivere, partendo dallo stesso punto in cui si era fermata.

Il suo spirito competitivo l’ha portata a non negare quanto le è accaduto ed è intervenuta nel sociale: il rimorso per non essersi protetta dall’infezione l’ha portata, negli scorsi mesi, a posare per una campagna educativa a favore delle vaccinazioni, pratica svalutata con troppa leggerezza.

Oltre a impedire che altri bambini e ragazzi possano andare incontro al suo stesso destino, Beatrice ha voluto ribaltare l’idea dell’impossibilità insita nel disabile: ciò che ti caratterizza può essere la tua forza anziché il tuo handicap. La logica conseguenza è che nei contesti in cui lei vive e cresce, la parola “handicappato” non è un tabù ma un termine come tutti gli altri, utilizzato anche per scherzare con i propri compagni senza alcuna remora.

In effetti, ciò che intuiamo dalla sua storia, è che il compatimento è davvero peggio dell’indifferenza, come lei sostiene. Esser disabili non è una colpa né uno stato d’inferiorità. Passino le oggettive limitazioni fisiche, ma quelle più potenti e davvero disabilitanti sono quelle psicologiche. La mente, l’organo che porta tante persone a non accettarsi per quello che si è ed a fabbricare mille problemi, fonte di quotidiana infelicità, nel caso di Beatrice non ha paura di esprimere la verità: dalle cicatrici sul viso alle sue dita particolari per massaggiare con i propri amici.

Tutto, anche le difficoltà, fa parte della vita ed averne sensazione è già una fortuna. La storia dell’atleta italiana è simile, nei suoi insegnamenti, a ciò che ha trasmesso un altro atleta italiano ex pilota di Formula1: Alex Zanardi. Ascoltando il pensiero di questi “disabili” non si può non lodare la serenità con cui parlano di sé stessi e degli altri. Qualità che alcune volte mettiamo da parte nei rapporti con chi ci circonda, segnati da latenti ostilità e dalle pretese che abbiamo verso noi stessi: una perfezione all’insegna del Photoshop estetico e formale. Ma la vita, per fortuna, non è un algoritmo binario ma un puro insieme di variabili, all’insegna di una magnifica diversità degna di essere accettata, modificata se necessario, ma mai rinnegata.

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