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Domenica, 28 Aprile 2024
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La fine della Terra d’Otranto come realtà unitaria: il ruolo di Mussolini

Nel 1923 nacque la Provincia di Taranto. Il gerarca Achille Starace, pressato dai centri di potere leccesi, tentò di fermare il processo, ma la volontà del Duce era chiara. E nel 1927 anche Brindisi ebbe la sua autonomia

LECCE – È stata  appena inaugurata, oggi alle 17 presso l’Archivio di Stato di Lecce, la mostra “Per Taranto. Non toccare Brindisi”. Si tratta di un’esposizione, accessibile fino al 5 gennaio negli abituali orari di apertura dell’archivio (ma anche domani, sabato 23) che ripercorre le vicende politiche e amministrative che portarono alla fine della Provincia di Terra d’Otranto. Ne abbiamo parlato con il direttore, Donato Pasculli.

Come nasce questa mostra?

“L’idea si lega a una ricorrenza importante: dopo l’emanazione del regio decreto, il 2 settembre, la Provincia di Taranto divenne realtà operativa il 21 dicembre del 1923. Finisce così l’antichissima provincia di Terra d’Otranto – anche se dall’Unità si chiamava Provincia di Lecce - che aveva mantenuto lo stesso assetto per sette secoli e che era nata come ‘giustizierato’ con i Normanno Svevi nel XIV secolo, secondo quanto disposto con le Costituzioni di Melfi del 1231. Da allora e fino al 1923 l’ambito amministrativo di Terra d’Otranto, a parte la perdita nel 1663 dei territori del Materano, era rimasto lo stesso. Nel 1923 con la perdita di quello che era il circondario di Taranto, finisce l’unitarietà di Terra d’Otranto”.

Nella ricerca e selezione del materiale archivistico, cosa è emerso?

“Abbiamo voluto fare questa mostra coinvolgendo gli archivi di Taranto e Brindisi, diretti da Valentina Esposto e Diego Sicorello, che ringrazio, per guardare alla stessa vicenda da tre prospettive diverse. Siamo nei primi mesi del 1923, diverse delegazioni da Lecce e da Taranto raggiungono Roma per discutere con i referenti politici, primo fra tutti Achille Starace, del quale abbiamo trovato il bigliettino che dà il nome alla mostra. Starace interviene nella questione, ma Mussolini ha già deciso che Taranto diventerà provincia autonoma sia perché i tarantini spingono molto in questa direzione, sia perché è volontà dello stesso capo del governo premiare il ruolo avuto dalla città nella Prima Guerra Mondiale. Le richieste autonomistiche di Taranto risalgono già all’Ottocento, come abbiamo visto in diversi documenti, tanto che il governo, verso la fine di quel secolo, sembra anche disposto a fare concessioni. Poi intervengono i rappresentanti politici leccesi: il prefetto di Lecce, per esempio, interpella deputati e senatori perché blocchino il tentativo di riforma. La questione ritorna in agenda subito dopo la fine della Grande Guerra: già allora la città era più grande di Lecce e i tarantini lamentavano la dipendenza da un centro più piccolo. Poi c’era la questione della viabilità: Taranto si doleva del disinteresse di Lecce soprattutto per i comuni dell’arco ionico, come Ginosa, Castellaneta, Laterza e della scarsità di collegamenti. Sarà il regime fascista, appena arrivato al potere, a prendere la decisione di istituire la nuova provincia, nel marzo del 1923. La decisione è di Mussolini in persona anche per contrastare la classe nobiliare e latifondista del Salento leccese a favore del nascente ceto borghese e imprenditoriale legato al lavoro in fabbrica, nell’arsenale, ai ruoli svolti nella Marina Militare. Starace deve piegarsi, ma lascia al direttore generale dell’amministrazione civile l'appunto Per Taranto. Non toccare Brindisi”.

Poco dopo anche Brindisi otterrà la sua provincia. Con un percorso simile?

“Se la nascita della Provincia di Taranto è una vittoria dei tarantini, l’autonomia di Brindisi, che avviene con un decreto del 2 gennaio del 1927 rientra all’interno di una riorganizzazione amministrativa generale che vede la nascita di una ventina di nuove province in tutta Italia. Mussolini dice testualmente che Brindisi l’ha voluta lui per dare lustro al passato di importante centro romano, ma anche perché già allora si parla di espansione verso Oriente, di Albania e di Grecia nell’ottica di un’Italia imperiale. Nella mostra è possibile vedere un video dell’Istituto Luce relativo alla visita del Duce a Lecce nel 1934 durante la quale torna sulla questione, elogiando i leccesi per aver accettato l’istituzione della Provincia di Taranto”.

Ci furono resistenze e proteste da parte leccese?

“Il dibattito locale aveva fatto di tutto, fino all’estate del 1923, per fermare il processo: ci sono articoli di stampa e comitati che coinvolgono anche il Collegio degli Avvocati, la prefettura, i Comuni, i parlamentari. Quando però si capisce che la decisione di Mussolini è irrevocabile, a Lecce non se ne parla più. A Taranto invece iniziano le celebrazioni. È molto interessante notare come, nel momento in cui i gruppi di potere leccesi devono accettare questa sconfitta, avanzino subito altre richieste: così si spiega la nascita della Corte di Appello di Lecce, che ufficialmente avverrà nel 1930, con competenza su tutto il territorio delle tre province. Si tratta di un risarcimento, una compensazione”.

Mussolini nella visita a Lecce del 1934, frammento del video dell'Istituto Luce.

Risolta la questione del punto di vista politico, quanto è durato il processo di assestamento?

“Due furono i problemi principali, il primo dei quali la definizione dei confini. Si tenga presente che Matera aveva chiesto di far parte della provincia di Taranto, ma Potenza si era opposta. Addirittura alcuni comuni calabresi avevano chiesto la stessa cosa, così come anche Francavilla Fontana e Noci. Il ministero dell’Interno dovette quindi combattere molto per non scontentare nessuno e mantenere un’equa ripartizione della popolazione ai fini della rappresentanza politica. L’altra questione grossa che emerse è quella patrimoniale: la nuova Provincia rivendicava una parte di Palazzo dei Celestini, la sede delle Marcelline, all’epoca educandato di Vittorio Emanuele, e la proprietà delle strade ferrate nel sud Salento per le quali la Provincia aveva contratto un mutuo che era quindi anche un mutuo a carico dei tarantini. La vicenda ha avuto strascichi per circa un decennio”.

Le questioni che la mostra affronta hanno anche intrecci con l'attualità, in un certo senso.

“L’interesse di questa ricerca che abbiamo avviato sta sicuramente nel centenario, ma il discorso risale già ai tempi dell’Unità d’Italia e tornerà prepotentemente nei lavori per la Costituzione repubblicana con la richiesta di istituzione della Regione Salento. Ancora oggi le tre Province, con delle difficoltà, stanno provando a cercare piani di raccordo: ci sono stati almeno tre protocolli d’intesa, di cui uno vigente. È una tematica che ha visto una tappa fondamentale cento anni fa ma che non si è esaurita”.

Secondo lei, ci sono più elementi in comune o di diversità tra Lecce, Taranto e Brindisi?

“Dal punto di vista leccese c’è un orientamento a una visione unitaria che viene dal fatto di aver governato la Terra d’Otranto per secoli, ma anche se pensiamo alla Regio Seconda Romana, Apulia et Calabria (una delle undici regioni dell’età augustea, ndr) o alla comune appartenenza messapica, escludendo la parte settentrionale delle province di Taranto e Brindisi, il riferimento territoriale è quello. Le zone a sud di Taranto come anche quella un po’ più a nord di Brindisi si considerano ancora oggi Salento o comunque sentono una radice comune linguistica e culturale. Per Taranto il discorso è diverso: la sua storia è differente, ha origine spartane, dunque greche e anche linguisticamente il tarantino è diverso dal leccese. È indubbio, dalla documentazione vista, che nel 1923 Taranto ha un ruolo importante ed era difficile pensare non fosse giusto riconoscergli lo status di provincia: aveva più abitanti, aveva avuto un ruolo importante nella guerra, era sede di traffici commerciali e un punto di raccordo verso la Basilicata. Per Brindisi, invece il collegamento con Lecce è molto più stretto”.

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