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"Per eliminare la violenza sulle donne serve una rivoluzione culturale"

Sara Scrimieri, terapeuta e consulente per i Tribunali: "La distinzione tra uomo e donna è fittizia, non esiste. Siamo tutti individui"

BRINDISI - La violenza sulle donne si può debellare. Sì, con una rivoluzione culturale e sociale. "Dobbiamo partire da un assunto: la distinzione tra uomo e donna è fittizia, siamo tutti individui". Parole della psicologa e psicoterapeuta e consulente forense Sara Scrimieri, 37enne leccese. Lei è vice-presidente e tesoriere di Psifia, cooperativa tutta al femminile che opera nelle province di Brindisi e Lecce. Obiettivo: favorire la diffusione del pensiero e del metodo psicanalitico, non solo nel lavoro clinico, ma anche nel rapporto con il territorio e le istituzioni. Il lavoro si concentra sulle crescite traumatiche, subite da coloro - bambini, adolescenti o giovani adulti - che abbiano subito violenza o discriminazioni. L'attività forense si esplicita nelle consulenze, negli ascolti protetti delle donne vittime di violenza e dei bambini. Coadiuvano la polizia giudiziaria a esportare il metodo di ascolto della testimonianza. Sara Scrimieri ritiene che l'attenzione alla vittima di violenza sia non convenzionale rispetto a ciò che si pensa. Non esistono assolutismi.E' importante prendersi cura della vittima.

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La violenza sulle donne è un problema trasversale?

"Sì. Per quanto si possano individuare categorie ricorrenti all'interno di certe storie, il fenomeno è sociale e culturale, molto radicato. Si manifesta in maniera conclamata in età adulta, con episodi efferati, che sono solo la punta di un iceberg. Sono aspetti culturali intessuti nel mondo in cui viviamo. Questo discorso è trasversale nella misura in cui parte da molto prima, non è qualcosa che ha a che fare con l'educazione in senso stretto, ma proprio con il modo di intendere il proprio spazio, il proprio stare al mondo. Questo significa che c'è un modo di pensare, di vivere comportamenti - anche delle figure maschili - tanto radicato che non ci si rende conto della mancanza di rispetto nei confronti della figura femminile. E' impensabile mettere in discussione qualcosa di dato, di scontato. La vera resistenza al cambiamento sembra legata a questo, al fatto che un certo modo di pensare sia intessuto nel modo di vivere e lo ha plasmato".

Una volta che la donna ha compreso di essere vittima di violenza, il terapeuta come può agire?

"Una premessa importante: è fondamentale che ci sia una minima apertura, che la donna avverta di aver bisogno di aiuto. Quindi, il primo aiuto che il terapeuta può dare è una sorta di zona franca, un posto sicuro dove poter essere accolte, anche per depositare le immagini che affollano i propri pensieri, i propri sentimenti. Bisogna offrire uno spazio libero da pregiudizi. Il senso di colpa è uno degli elementi che più trattengono la donna nella propria condizione, che la fanno sentire colpevole di ciò che le è accaduto. Ancora di più: molte volte si riscontra di come una donna vittima di violenza sia portatrice di una 'colpa originaria' che si succede nell'arco delle generazioni. Magari è successo alle loro mamme, alle loro nonne. In questo caso può passare il messaggio che se un fatto del genere accade, ne sei responsabile e devi tenertelo dentro. Ci sono situazioni meno dinamiche in cui lo spazio di ascolto è fondamentale, comunque". 

Quanto può essere lungo e doloroso un percorso simile?

"Diciamo che più che di tempo, occorre parlare di intensità, che è legata al dolore. Il trattamento non può entrare a gamba tesa nelle difese che si creano nelle donne vittime di violenza. Occorre essere delicati. Il terapeuta un po' ti fa da specchio, un po' ti libera. E' importante dare un senso a quanto accaduto. Ciò che libera davvero dal dolore è dargli parola. A ogni modo, non sempre le donne vittime di violenza che si rivolgono a un terapeuta hanno sporto denuncia all'autorità giudiziaria o alle forze dell'ordine. Accade spesso che invece la possibilità di riprendere contatto con se stesse aiuti a pensare a una denuncia. In questo modo ci si legittima come vittima".

Esistono particolarità legate al territorio salentino?

"Dietro alla violenza di genere ci sono dinamiche legate al possesso, all'appartenenza, all'impossibilità di intraprendere una strada propria, che sia autonoma. Un dato significativo rispetto alla nostra realtà è la presenza di nuclei familiari che vivono la dinamica di dipendenza, all'interno della famiglia. E che, in quanto tale, se da un lato può dare l'impressione di una tutela, dall'altro lato è un limite all'emancipazione, alla libertà. La violenza nasce dove la libertà viene costretta. E questo aspetto riguarda più il mondo femminile".

Il patriarcato influisce sulla violenza?

"Sì, molto. Nella misura in cui oggi, benché in forme più gentili, si pensa di scegliere per l'altro, specialmente per le donne. E magari si tende a ridicolizzare uno slancio, una scelta, che vada in direzione non pensata o opposta rispetto a quella pensata da altri. Però,molti passi avanti sono stati fatti, c'è sicuramente un movimento, anche se sembra ancora sulle superficie delle cose. A tratti sembra di assistere a una certa ridondanza dei contenuti, quando si leggono post. C'è ancora un mondo che si difende molto dall'approcciarsi al cuore del problema, perché c'è da fare una rivoluzione culturale. E sociale. Che parta dall'idea che la distinzione tra uomo e donna non esiste, siamo tutti individui".

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