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Cronaca

“A Cerano sistema malato e corrotto”: parla anche uno dei dipendenti indagati

In vista del processo, i pm chiedono di ascoltare Domenico Iaboni, l'unico a essere stato licenziato, con incidente probatorio, così come è stato fatto con l'imprenditore che ha denunciato. Il titolare della ditta ieri ha confermato le accuse davanti al gip: "Ho pagato tangenti e assunto persone, anche pregiudicati"

BRINDISI – Parla anche uno dei dipendenti della centrale Enel di Cerano ai domiciliari con l’accusa di corruzione, l’unico a essere stato licenziato, dopo la denuncia sull’esistenza di un “sistema malato interno alla Federico II”: Domenico Iaboni, romano, qualcosa deve aver ammesso sul fronte delle tangenti nel corso dell’interrogatorio reso nelle scorse settimane, per rogatoria nella Capitale, se i pm di Brindisi hanno chiesto di ascoltarlo con la formula dell’incidente probatorio, così come è stato fatto ieri per l’imprenditore di Monteroni che sostiene di aver pagato tangenti per oltre 250mila euro dal 2012 sino allo scorso anno, in favore di sette persone, due dei quali dirigenti.

Inchiesta appalti Enel-2

L’istanza finalizzata a sentire Iaboni va in scia con le dichiarazioni che il titolare della ditta edile ha consegnato nell’arco di quasi otto ore, dalle 10 sino alle 18 di ieri, davanti al gip del Tribunale di Brindisi, Stefania De Angelis. Allo stesso giudice, i sostituti Milto Stefano De Nozza e Francesco Vincenzo Carluccio, hanno chiesto di fissare l’ascolto di Iaboni, dandone avviso a tutti gli indagati in modo tale da blindare anche questa posizione, dopo quella del professionista che tentò il suicidio il 4 marzo scorso.

I legali dell’imprenditore hanno chiesto al gip di considerare l’indagato parte lesa del sistema, puntando a una riqualificazione dell’accusa da corruzione in concussione, ma l’istanza è stata rigettata. Il gip, del resto, già nell’ordinanza lo aveva considerato “un consapevole protagonista”, quindi “concorrente nel reato di corruzione”.

A questo punto è chiaro, quindi, da un lato che il dipendente Iaboni – ormai ex della centrale di Cerano -  deve aver fatto qualche ammissione all’indomani dell’arresto, quando è stato sentito dal gip del Tribunale di Roma, sia pure limitatamente alla sua posizione e alla contestazione legata a una tangente pari a 14mila euro, con “pagamento dell’ultima dazione di denaro sino al 16 giugno 2016”. E’ altrettanto evidente che i pubblici ministeri sono sempre più orientati a chiedere quanto prima il processo a carico di tutti gli indagati e che in quest’ottica intendono puntellare l’impianto accusatorio imbastito combinando le dichiarazioni consegnate dall’imprenditore a cui hanno fatto seguito quelle di Iaboni, con la documentazione raccolta dai militari della Guardia di Finanza.

Sotto inchiesta oltre a Iaboni e all’imprenditore, ci sono: Carlo De Punzio, l’unico a essere finito in carcere il 5 maggio scorso, Fabiano Attanasio, Vito Gloria, entrambi ai domiciliari, e Nicola Tamburrano, rimesso in libertà dal Riesame, Fausto Bassi e Fabio De Filippo, tutti e due dirigenti della centrale, rimasti a piede libero.

Conferenza inchiesta appalti Enel-2-2

Nel fascicolo dei pm ci sono anche le registrazioni di alcuni colloqui tra lo stesso titolare della ditta e dipendenti Enel e dirigenti nei quali si parla di tangenti da versare. I termini usati erano “patate”,  “chili”,  “strette di mano”. Come già era emerso dall’ordinanza di custodia cautelare, ci sono dialoghi registrati con Iaboni e con Carlo De Punzio, il solo a essere stato arrestato in carcere per il pericolo di inquinamento delle prove.

La conversazione con Iaboni è stata fatta sentire ai vertici Enel dall’imprenditore il 16 dicembre 2016, senza però svelarne il nome. L’identità dell’interlocutore è stata accertata dalla stessa società e per questo è stato avviato e concluso il licenziamento. Quanto a De Punzio, l’imprenditore ieri ha sottolineato non solo il ruolo avuto nell’aggiudicazione degli appalti in favore della sua ditta, ma anche presunte pressioni una volta scoperta l’esistenza dell’inchiesta: il dipendente, stando a questa versione, avrebbe incontrato il titolare dell’impresa e gli avrebbe detto di puntare ai vertici, intimandogli di non fare il suo nome e di non contattarlo più al telefono. Allo stesso tempo avrebbe cercato giustificazioni per gli assegni intestati alla moglie, sostenendo che fossero destinati a un’associazione gestita dalla donna.

Confermate, inoltre, le accuse nei confronti dei dirigenti anche per pressioni finalizzate alle assunzioni di lavoratori “alcuni dei quali pregiudicati”, già dipendenti di altre aziende che avevano avuto commesse nella centrale di Cerano. Ce ne sarebbero state otto di assunzioni: l’imprenditore ha consegnato anche questi nomi.

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