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Cronaca

Albania "ufficio di collocamento dei terroristi": massima allerta anche a Brindisi

Non solo maxi carichi di marijuana come quello sequestrato ieri (19 gennaio) dalla polizia di Frontiera. Il rischio che dall’Albania possano arrivare anche estremisti legati al fondamentalismo islamico è estremamente concreto secondo i servizi di intelligence italiani

BRINDISI – Non solo maxi carichi di marijuana come quello sequestrato ieri (19 gennaio) dalla polizia di Frontiera. Il rischio che dall’Albania possano arrivare anche estremisti legati al fondamentalismo islamico è estremamente concreto secondo i servizi di intelligence italiani. Non a caso nel porto di Brindisi sono stati rinforzati i dispositivi di controllo di mezzi e passeggeri provenienti dall’area extra Schengen, attraverso l’impiego dell’Esercito.

In un'inchiesta a cura di Antonio Ferrari pubblicata lunedì scorso (18 gennaio) sull’edizione online del "Corriere della sera" (il link del video servizio) il “Paese delle aquile” viene definito il “centro di collocamento dell'Isis in Europa”. Gli esperti di geopolitica del resto sono consapevoli da più di un decennio della minaccia integralista che si annida nei Balcani, dove si sono costituite delle enclave musulmane (veri e propri microstati nel cuore dell'Europa) in cui si pratica la Shari’a (la legge del Corano, testo sacro dell’Islam), praticamente inaccessibili a chi non osserva i dettami di una delle correnti integraliste della religione fondata dal profeta Maometto.

Si tratta di un fenomeno diffuso soprattutto in Bosnia, che nel corso della sanguinosa guerra scaturita dalla disgregazione dell’ex Jugoslavia (1991-1995) divenne meta di numerosi mujahidin arabi animati dalla volontà di sostenere gli indipendentisti locali musulmani. Molti di questi al termine del conflitto restarono in Bosnia, sposarono donne del posto e diedero vita a delle comunità islamiche improntate al Wahhabismo (una delle correnti più rigide dell’Islam che si basa sull’interpretazione letterale del Corano).

Il processo di “infiltrazione” e di insediamento  dei mujahidin nelle ex repubbliche jugoslave è ben descritto in un’analisi pubblicata nel luglio del 2014 dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale).  Dopo aver messo radici in Bosnia (ma anche in Kosovo e Macedonia) e averne ottenuto la cittadinanza, i combattenti di Allah (come spiegato appunto nello studio dell’Ispi) hanno iniziato a fare proselitismo, radicalizzando centinaia di giovani mussulmani nati e cresciuti nei paesi dell’Europa occidentale.

Tutto questo non sarebbe stato possibile senza il sostegno economico di organizzazioni no profit arabe (gran parte delle quali localizzate in Arabia Saudita) che hanno convogliato verso i Balcani (e in Austria) fiumi di denaro per l’acquisto di enormi appezzamenti in cui sono state realizzate moschee e madrasse (scuole coraniche).

Il timore degli 007 italiani è che i predicatori islamici insediatisi sull'altra sponda del Mediterraneo adesso si stiano adoperando per far rientrare in Europa i combattenti che si sono arruolati in Siria fra le file dell’Isis. E uno dei principali “uffici di collocamento” dei famigerati foreign fighters, appunto, si trova in Albania, dirimpettaia della Puglia. In un’inchiesta di Davide Maria De Luca pubblicata lo scorso 9 dicembre sul giornale “Il Foglio” (titolo, “La strada dei foreign fighter italiani passa dall’Albania”), viene raccontata la metamorfosi che sta caratterizzando una parte della popolazione di fede islamica dell'ex repubblica comunista.

Un cittadino albanese rientrato in patria nel 2012 spiega in un’intervista di aver ritrovato un paese profondamente cambiato rispetto a quello lasciato nel 2008, quando emigrò in Italia. L’intervistato riferisce di aver provato stupore nel vedere delle donne con il capo coperto e degli uomini con la barba lunga che percorrevano le vie di Shijak, una cittadina a pochi chilometri da Synej dove una fondazione del Qatar ha costruito, come scritto da De Luca, un centro culturale islamico e proliferano i negozi che servono solo cibi halal (preparati in modo conforme ai precetti della legge islamica).

Dietro quello che potrebbe apparire come un semplice fenomeno di costume (comunque di notevole portata in uno paese laico, devoto fino ai primi anni 90 all’ortodossia comunista imposta dal dittatore Enver Hoxha), si celano grosse minacce per la sicurezza degli Stati confinanti. In primis, ovviamente, l’Italia.

Già, perché si teme che l’Albania possa diventare una sorta di rampa di lancio verso l'Occidente di jihadisti di ritorno. E una delle principali porte d’accesso al Bel Paese, per chi proviene dall’Albania, è proprio il porto di Brindisi. Per questo l’allerta resta alta e l’imponente numero di respingimenti in frontiera effettuato negli ultimi due mesi dagli uomini della Polizia di Frontiera al comando del vicequestore Mario Marcone dimostra quanto siano strette le maglie dei controlli. 

Ma va dato atto alla polizia ed alla magistratura albanesi di condurre una costante pressione su questi circoli musulmani integralisti con perquisizioni, sequestri, denunce e allontanamenti, come dimostra anche una recente indagine della procura di Torino su un estremista islamico poi rientrato in patria, cui hanno partecipato attivamente gli investigatori del Paese delle Aquile. Del resto, solo la collaborazione a livello di intelligente tra Albania e Italia può dare i migliori risultati nel monitoraggio e la repressione di eventuali tentativi di infiltrazione terroristica.

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