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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Da Brindisi al soglio di Pietro

In questi giorni di sgomento decretati dalle inattese dimissioni di Papa Benedetto XVI, è facile comprendere come l’attenzione del mondo intero sia proiettata verso il prossimo Conclave e sia rivolta verso la Chiesa ed ai passi che questa si accinge a compiere. La conoscenza della storia del papato è la chiave d’interpretazione per spiegare fatti importanti che hanno segnato, nel loro evolvere, la storia in generale. Correva l’anno 1555, quando gli eminenti cardinali, in conclave, proclamarono Papa, per acclamazione, Gian Pietro Carafa, di 79 anni, già vescovo della Diocesi di Brindisi.

In questi giorni di sgomento decretati dalle inattese dimissioni di Papa Benedetto XVI, è facile comprendere come l’attenzione del mondo intero sia proiettata verso il prossimo Conclave e sia rivolta verso la Chiesa ed ai passi che questa si accinge a compiere. La conoscenza della storia del papato è la chiave d’interpretazione per spiegare fatti importanti che hanno segnato, nel loro evolvere, la storia in generale. Correva l’anno 1555, quando gli eminenti cardinali, in conclave, proclamarono Papa, per acclamazione, Gian Pietro Carafa, di 79 anni, già vescovo della Diocesi di Brindisi.

Carafa nacque a Capriglia (Avellino) il 28 giugno 1476 da Giovanni Antonio, barone di S. Angelo della Scala e da Vittoria Camponeschi. Proveniente da Chieti, insieme a San Gaetano da Thiene fondò l’Ordine dei Teatini, dedicandosi all’istruzione religiosa del popolo e alle attività assistenziali, fu successivamente mandato a Brindisi a sedere sulla cattedra di San Leucio, da Papa Leone X. Nella città adriatica, Gian Pietro Carafa s’insediò il 20 dicembre 1518, divenendo il sessantunesimo Vescovo della Diocesi brindisina. Successivamente, nel 1536, fu fatto cardinale da Papa Paolo III, per i suoi trascorsi diplomatici, infatti fu nunzio apostolico sia in Inghilterra, che in Spagna. Eletto Papa il 23 maggio 1555, fu consacrato il 26 successivo; Gian Pietro Carafa assurse al soglio di Pietro con il nome di Paolo IV.

Il suo pontificato, a causa del suo carattere impulsivo, diffidente e soprattutto fragile, non fu molto lodevole, piuttosto ricco di ombre che di luci. Il governo della Chiesa che fu a lui affidato può definirsi caratterizzato da tre elementi: egli fu nepotista, coltivò una ingiustificata prevenzione verso la Spagna, fu un convinto riformatore. Non riponendo fiducia in alcuno, cercò di trovare credito e consenso tra i suoi parenti più prossimi, così nominò cardinali suoi tre nipoti, tra costoro un peso straordinario lo ebbe  Carlo Carafa, insediato alla Segreteria di Stato, e questi fu il cattivo genio di Papa Paolo IV.

Agli altri nipoti, non migliori di Carlo, affidò cariche militari in Roma.  Speculando sul fatto che il Papa voleva scacciare gli spagnoli dal Regno di Napoli, Carlo Carafa inculcò al Pontefice, che peraltro era stato gran elemosiniere in Spagna presso la Corte di Filippo II, di fare lega con Enrico II Re di Francia, col malcelato intento di espellere anche i transalpini, dopo il richiesto e implorato aiuto. I francesi fecero scendere in Italia un esercito con a capo il duca di Guisa, ma l’effetto della scellerata decisione valse la devastazione del Regno di Napoli.

La disastrosa guerra, intrapresa dalla insipiente ferocia di Carlo Carafa e dalla politica debole e incerta del Papa, produsse la sconfitta dello Stato Pontificio e dei francesi, tanto che Paolo IV fu costretto a firmare, il 12 settembre 1557, la resa sancita dal Trattato di Pace di Cave. All’indomani della sconfitta, fu proprio il duca di Guisa che aprì gli occhi al Pontefice sulla scandalosa condotta perseguita dai nipoti, da lui tanto favoriti.

Avute e constatate le prove di ciò, facendo forza alla sua indole, non esitò un solo istante nel togliere loro cariche e stipendi e li mise al bando da Roma, né volle ammetterli alla sua presenza in punto di morte. Papa Paolo IV, già vescovo della Diocesi di Brindisi, fu inquisitore generale della Congregazione del Sant’Uffizio che presiedeva di persona, in tale veste non risparmiò, quando si erano macchiati di colpe, neppure alcuni cardinali.

Nel 1559, ultimo anno del suo pontificato, prima della morte avvenuta il 19 agosto (1559), istituì il primo Index Librorum Prohibitorum, strumento con cui censurò, con la stessa rigidità: libri dei protestanti, dei Padri della Chiesa e, perfino, interi libri della Bibbia. A suo beneficio c’è da annoverare il suo ardente zelo religioso, la tentata moralizzazione dei costumi e la lotta contro gli eretici.

Paolo IV, incensurabile a livello di dottrina, ma che sostanzialmente ebbe un carattere debole, fece una fine che è di quelle che non rendono fieri i posteri, perchè, purtroppo, non conobbe quella giusta misura che tanto si addice a chi sta in alto. Paolo IV Carafa si spense dopo una lunga malattia; non appena per Roma si sparse la notizia del suo decesso, il popolo dette fuoco al Palazzo dell’Inquisizione e abbatté la sua statua eretta in Campidoglio, buttandone nel Tevere i pezzi frantumati.

In tutta segretezza, fu seppellito nei sotterranei del Vaticano. Per completamento d’informazione storica, il suo successore come vescovo della Diocesi di Brindisi fu monsignor Girolamo Aleandro, nativo di Motta di Livenza, mentre come Papa gli successe, il 26 dicembre 1559, Pio IV, al secolo, Giannangelo de’ Medici.

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