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Cronaca

Falso attentato al maresciallo, il capitano: "Strazimiri? Non dice la verità"

FASANO - “Strazimiri non dice la verità, e sono pronto a dimostrarvelo”, con tanto di lavagne elettroniche, tabulati, celle telefoniche e proiezioni in aula di tracciati riprodotti in diretta da Google map. Strumenti e prove ipertecnologiche, utili a dimostrare che i luoghi dove furono nascoste le bombe per inscenare il falso attentato al maresciallo Vito Maniscalchi, menzionati dal testimone chiave della procura, non possono essere quelli che l’albanese dice.

FASANO - “Strazimiri non dice la verità, e sono pronto a dimostrarvelo”, con tanto di lavagne elettroniche, tabulati, celle telefoniche e proiezioni in aula di tracciati riprodotti in diretta da Google map. Strumenti e prove ipertecnologiche, utili a dimostrare che i luoghi dove furono  nascoste le bombe per inscenare il falso attentato al maresciallo Vito Maniscalchi, menzionati dal testimone chiave della procura, non possono essere quelli che l’albanese dice.

Il capitano dei carabinieri Cosimo Delli Santi ha dato fondo alla cassetta degli attrezzi di investigatore per ricostruire il percorso che i colleghi fecero nelle concitate ore precedenti e successive all’arresto di Carmelo Vasta e Maria Loparco, incastrati sempre secondo l’accusa dalla presunta messinscena degli uomini del Norm, grazie alla complicità dell’albanese. Il luogo dove i carabinieri, l’incavo di un albero nelle campagne di Carovigno, presero le due bombe messe a disposizione di Marvin Strazimiri la sera dell’arresto degli ostunesi, è diverso da quello dove gli stessi militari si recarono la mattina successiva, per  prelevare il resto delle armi.

I due posti distano circa venti chilometri l’uno dall’altro, le carte topografiche, almeno quelle non mentono: questo sostiene il militare, difeso dall’avvocato Domenico Mariani del Foro di Roma. Delli Santi, per mezzo delle celle telefoniche dei cellulari in uso ai colleghi, ha ricostruito il tragitto percorso dagli uomini al suo comando all’epoca dei fatti. Tracciato che dice cose assai diverse da quelle raccontate dall’albanese. I carabinieri, sostiene Delli Santi, non potevano avere il dono della bilocazione. E se le “prove scientifiche” portate in aula indicano certi luoghi piuttosto che altri, la conseguenza è che il testimone chiave non è affidabile.

Udienza scenografica, è il caso di dire. Il militare in abiti borghesi, imputato in divisa da carabiniere, già a capo della compagnia di Fasano, ha tentato di smontare brano a brano il teorema accusatorio, imbastito sulla testimonianza dell’albanese ma anche sulle prove affastellate dai colleghi del Ros. Un tentativo di archiviare, prove alla mano, una pagina nera per la Benemerita inaugurata nella primavera del 2004, quando Delli Santi finì in manette al fianco del tenente Vincenzo Favoino, i marescialli Gioacchino Bonomo, Stefano De Masi e Denis Michelini, gli appuntati Vito Bulzacchelli e Fabrizio Buzzetta, all’epoca dei fatti tutti in servizio presso la compagnia di Fasano.

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