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Cronaca

Immigrato suicida un caserma, sentenza ancora rinviata per altre verifiche sulla cella

S. MICHELE SALENTINO - Colpo di scena nel processo a carico dei tre carabinieri imputati per cooperazione in omicidio colposo, a fronte della presunta omissione dell’obbligo giuridico di impedire che il 22enne marocchino Abdelhafid Es-Saady, morto suicida nella caserma di San Michele Salentino il 18 giugno dello scorso anno, commettesse atti di autolesionismo o comunque si facesse del male. La sentenza a carico del comandante Vito Chimienti, il vice Giuseppe Marrazzo e l’appuntato Vincenzo Marrazzo, che hanno scelto di essere processati con rito abbreviato, sarebbe dovuta arrivare oggi. Il giudice per l’udienza preliminare Giuseppe Licci, con una ordinanza doc, ha disposto invece una integrazione probatoria a partire dall’audizione del comandante provinciale dell’Arma di Brindisi, colonnello Ugo Sica e del vigile urbano Adriano Vitale in qualità di testimoni.

S. MICHELE SALENTINO - Colpo di scena nel processo a carico dei tre carabinieri imputati per cooperazione in omicidio colposo, a fronte della presunta omissione dell’obbligo giuridico di impedire che il 22enne marocchino Abdelhafid Es-Saady,  morto suicida nella caserma di San Michele Salentino il 18 giugno dello scorso anno, commettesse atti di autolesionismo o comunque si facesse del male. La sentenza a carico del comandante Vito Chimienti, il vice Giuseppe Marrazzo e l’appuntato Vincenzo Marrazzo, che hanno scelto di essere processati con rito abbreviato, sarebbe dovuta arrivare oggi. Il giudice per l’udienza preliminare Giuseppe Licci, con una ordinanza doc, ha disposto invece una integrazione probatoria a partire dall’audizione del comandante provinciale dell’Arma di Brindisi, colonnello Ugo Sica e del vigile urbano Adriano Vitale in qualità di testimoni.

Non è tutto. La stessa ordinanza del gup dispone una verifica presso il Comando generale dell’Arma sulla emanazione di una eventuale circolare in ordine all’applicazione del regolamento sulla corretta esecuzione delle detenzioni in camera di sicurezza, ma anche una verifica presso la Procura militare di Napoli relativa all’esistenza di un fascicolo di indagini a carico dei tre imputati nel procedimento in corso, o altri. Val la pena di rammentare il difensore degli imputati, l’avvocato Vito Epifani, aveva chiesto verifiche a carico del Ministero della Difesa e del Comando generale dell’Arma, firmatari dei regolamenti sulla cella di sicurezza, criteri ai quali perfettamente corrispondeva quella della caserma sammichelana dove il 22enne morì suicida: ma una “cella fuori norma”, secondo Epifani.  Sulla vicenda, per la quali i genitori e uno zio del ragazzo si sono costituiti parte civile, sono pronti a presentare opposizione gli avvocati Pasquale Fistetti e Roberto Palmisano.

I fatti risalgono alla vigilia dell’estate di due anni fa. Le prime notizie divulgate sulla tragedia parlavano di “un cittadino marocchino privo di documenti” che si era “ucciso impiccandosi ad una grata della cella di sicurezza”, nella piccola caserma di provincia. Secondo una prima ricostruzione degli investigatori, il ragazzo aveva ricavato delle strisce strappando la fodera del materasso che si trovava nella cella di sicurezza e ne aveva fatto un cappio. Il nome di quel ragazzo sarebbe stato svelato solo dopo, dai compagni della comunità marocchina con i quali viveva. Si chiamava Abdelhafid Es-Saady, e nessuno di quelli che lo conoscevano erano disposti a credere che si fosse ucciso. Anche se lavorava in nero e si spaccava la schiena nei campi tutti i santi giorni.

L’avvocato Fistetti e la sindacalista Lorenza Conte, raccolsero i fondi necessari a ottenere l’arrivo dei genitori in Italia, mediarono con il consolato affinché madre e padre ottenessero il visto. La procura aveva nel frattempo stabilito che dovevano sottoporsi alla prova del Dna: le impronte digitali del ragazzo morto, e quelle presenti nelle banche dati della polizia e legate a quel nome, non coincidevano. L’esame genetico avrebbe confermato che era lui. Ma sul corpo,come avrebbe svelato l’esame autoptico, non c’erano segni di violenza.

Abdelhafid si era impiccato lasciandosi cadere sulle ginocchia. Quell’arresto non aveva lasciato sopravvivere in lui nessun istinto vitale. L’avvocato Vito Epifani è pronto dimostrare l’assoluta assenza di responsabilità da parte dei propri assistiti. Il  comandante Chimienti quel giorno era in ferie. Si trovava in sede solo perché abita, come molti militari, in un appartamento al piano superiore della caserma, ma non era in servizio. Pesanti incognite sono state sollevate anche sulla corrispondenza alle norme previste della cella in cui il ragazzo era recluso, tutta da verificare, che hanno determinato il rinvio della decisione del giudice e il supplemento d’inchiesta. Prossima udienza 26 giugno.

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