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Cronaca

Marinaio morto sul Vespucci: chiesto il processo per i vertici della Marina

La procura della Repubblica di Civitavecchia ha chiesto il rinvio a giudizio di cinque ufficiali della Marina militare, fra cui il capo di Stato maggiore Giuseppe De Giorgi, per la morte del sottocapo nocchiere brindisino Alessandro Nasta, che il 24 maggio 2012 perse la vita su nave Amerigo Vespucci, a seguito di una caduta dall'albero di maestra

BRINDISI – La procura della Repubblica di Civitavecchia ha chiesto il rinvio a giudizio di cinque ufficiali della Marina militare, fra cui il capo di Stato maggiore Giuseppe De Giorgi, per la morte del sottocapo nocchiere brindisino Alessandro Nasta, che il 24 maggio 2012 perse la vita su nave Amerigo Vespucci, a seguito di una caduta dall’albero di maestra. L’imbarcazione era in navigazione al largo dell’Argentario, 40 miglia a Nord di Civitavecchia. Nasta fece un volo da un’altezza di circa 15 metri, sbattendo la testa sul ponte di coperta. Soccorso in elicottero, morì nell’ospedale di Civitavecchia. Aveva solo 29 anni. 

Oltre all’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, che all’epoca dei fatti era comandante in capo della Squadra navale, la richiesta di rinvio a giudizio riguarda anche: l'ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, già capo di Stato maggiore della Difesa, all’epoca dei fatti capo di Stato maggiore della Marina;  l'ammiraglio Bruno Branciforte, già capo di Stato maggiore della Marina; il capitano di fregata Domenico La Faia, in qualità di comandante della Salvatore Girone con l'ammiraglio Giuseppe De Giorginave scuola Amerigo Vespucci; il capitano di fregata Marco Grassi, in qualità di comandante in seconda della Vespucci.

L’accusa è “imprudenza, negligenza e imperizia – si legge nella richiesta di rinvio a giudizio - ed in particolare per il mancato rispetto della normativa di settore sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro”.

Il capitano Faia è accusato di  “aver omesso di redigere il documento di valutazione dei rischi Dvr in collaborazione con il medico competente, con il Rspp e con il rappresentante dei lavoratori Rls ovvero del militare precedentemente individuato”, e “di non avere aggiornato e rielaborato il documento successivamente all'accadimento nella sua immediatezza”. (Nella foto a destra, l'ammiraglio Giuseppe De Giorgi)

Inoltre l’ufficiale deve rispondere dei seguenti capi di imputazione: “Aver assegnato a Nasta, per il tramite della catena di comando di cui era responsabile, il compito di operare in alberata senza accertarsi delle sue condizioni di salute psicofisica essendo il medesimo appartenente alla squadra che aveva operato in precedenza e che quindi era ‘smontante”’; “non aver fornito, attraverso la catena di comando di cui egli era responsabile, adeguati dispositivi di protezione Individuale”; “per non aver accertato, attraverso la catena di comando di cui egli era responsabile, che il personale operante in alberata avesse effettuato i percorsi formati di legge tra cui quelli connessi alla prevenzione infortuni e alla esecuzione di lavori in quota previsti dall'allegato 21 del Tusl, omettendo di accertarsi che il personale operante in quota avesse effettuato la sorveglianza sanitaria relativamente allo specifico impiego e secondo quanto indicato dalla Lg Ispels in merito a quanto contestato, e dei conseguenti rischi accidentali presenti nell'accesso e nella discesa dall'alberatura”.

Il capo di stato maggiore della Marina Militare, ammiraglio Luigi Binelli MantelliE poi: “Non aver predisposto, attraverso la catena di comando di cui egli era responsabile, alcun sistema di verifica circa il corretto utilizzo dei Dpi e sull'osservanza delle procedure operative previste dalle norme di legge”; “non aver predisposto e/o scelto le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, nei casi in cui i lavori in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo”; “non aver provveduto, attraverso anche la catena di comando di cui egli era titolare, in violazione al contenuto degli articoli 115 e 116 del citato decreto, a fornire e a far utilizzare previa specifica formazione i dispositivi di accesso in quota mediante funi, omettendo di attuare misure di protezione collettiva come previsto all'articolo 111”. (Nella foto a sinistra, l'ammiraglio Luigi Binelli Mantelli)

Il comandante in seconda di nave Vespucci, Marco Grassi, avrebbe invece “omesso di individuare i rischi specifici e di collaborare attivamente alla stesura del documento di valutazione dei rischi Dvr di specifica competenza del comandante La Faia”. Inoltre Grassi: “non avrebbe sollecitato né curato con attenzione il problema dell'idoneità fisica dei lavoratori di fatto non inviandoli alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l'osservanza degli obblighi previsti a suo carico nel presente decreto”; “avrebbe omesso di informare celermente i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa la natura del rischio stesso e delle disposizioni prese o da prendere in materia di protezione”; “non avrebbe fornito ai lavoratori Dpi conformi ai requisiti previsti dall'articolo 76, omettendo le necessarie misure per mantenere in efficienza i Dpi e assicurarne il loro corretto impiego”.

Agli ammiragli viene contestato di “aver omesso, quali vertici della forza armata, approvando la circolare Smm 1062 e così recependo integralmente sia il Tusl  D.Lgs 81/08 sia il DPR 15/3/2010 n.90, di verificare e accertare la sua applicazione presso le strutture e i comandi intermedi dipendenti”.

Le responsabilità da questi ricoperte nel decesso di Nasta sarebbero in particolare riconducibili alla mancata individuazione (attraverso la catena di comando da loro scelta, da essi stessi individuata e determinata e per mezzo dei collaboratori da loro incaricati) di “procedure organizzative ed operative atte ad effettuare l'analisi e valutazione dei rischi e la redazione del Dvr e conseguentemente di stabilire programmi formativi ed informativi e di individuare le modalità di intervento e le unità e le strutture adeguate e competenti per esercitare le funzioni delegate ai datori di lavoro designati dalla clausola di salvaguardia”. 

Tali fatti sarebbero “aggravati dalla evidente possibilità di previsione del pericolo della fattispecie connessa all'attività su alberi e più in generale in quota e dall'aver agito in violazione dei doveri d'ufficio propri dei rispettivi ruoli rivestiti nell'ambito dell'amministrazione militare”.

I famigliari di Nasta, che lasciò i genitori e una sorella, si sono affidati agli avvocati Giorgio Carta e Francesca Giangrasso. Fin dal primo momento era stato avanzato il sospetto che l’incidente fosse stato causato dalla mancanza di adeguate misure di sicurezza e dall’enorme mole di lavoro cui sarebbe stato sottoposto il ragazzo, quel tragico giorno.

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