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Cronaca

Ricomincia la ricerca sulle cave di sabbia sottomarine di Brindisi

Dopo quasi otto anni, si torna a parlare delle cave di sabbia sottomarine al largo di Brindisi, al centro di una autentica guerra prima solo amministrativa e politica, poi anche giudiziaria tra il Comune di Lecce, la Regione Puglia, da un lato, e dall’altro la Provincia di Brindisi, cominciata nel 2006 e finita solo nell’ottobre del 2008

BRINDISI – Dopo quasi otto anni, si torna a parlare delle cave di sabbia sottomarine al largo di Brindisi, al centro di una autentica guerra prima solo amministrativa e politica, poi anche giudiziaria tra il Comune di Lecce, la Regione Puglia, da un lato, e dall’altro la Provincia di Brindisi, cominciata nel 2006 e finita solo nell’ottobre del 2008 perché ormai l’amministrazione civica del capoluogo del Salento non avrebbe più potuto attuare il progetto nei termini previsti pe accedere agli 8 milioni di euro concessi dal Por 2000-2006.

La spiaggia di Punta Penne-3Se ne torna a parlare non perché ci sia stato un secondo “colpo di mano”, come lo definì all’epoca il presidente dell’amministrazione provinciale Michele Errico, a favore delle spiagge leccesi, da ripascere con la sabbia dei giacimenti subacquei brindisini, ma per via della campagna di rilievi dei depositi sabbiosi sommersi al largo di Brindisi che la nave oceanografica Minerva Uno condurrà per conto dell’Ismar-Cnr di Bologna, il quale assieme ad altri laboratori dello stesso Istituto di scienze marine da tempo sta conducendo la medesima ricerca lungo diversi tratti della costa italiana, cominciando dall’Adriatico Settentrionale.

La finalità delle campagne “Sand” dell’Ismar-Cnr, oltre quello della individuazione, studio e mappatura dei giacimenti di sabbia sottomarini, tuttavia è proprio quello di mettere ulteriormente a punto un modello di geodatabase, denominato  “In_Sand”, che dovrà garantire il corretto svolgimento ed utilizzo dei prelievi sottomarini e delle azioni di ripascimento, e di “env_Sand”, per il monitoraggio ambientale. Quella annunciata ed autorizzata dalla Capitaneria di Porto nelle acque di Brindisi, è parte della campagna “Sand 2015”, e si svolge nell’arco di tempo dal 12 aprile al 12 maggio con la Minerva Uno.

Lo scopo dichiarato è quello di mettere a disposizione i risultati per agevolare il ripascimento delle spiagge pugliesi attaccate dall’erosione. Sarà interessante verificare, quando i risultati saranno organizzati in uno studio, come quello presentato il 28 aprile 2015 a Bologna, riguardante i ripascimenti in Nord Adriatico (accedi alla sintesi), se coincidono con quelli del  professor Giovanni Marano, che nel 2006 individuò, in una ricerca commissionata dal sindaco di Lecce, Paolo Perrone, nel giacimento 700 metri al largo di Punta Penne quello più adatto a fornire la sabbia per ripascere le spiagge del capoluogo salentino.

La spiaggia di Punta penne- Lido Granchio rosso-2La Provincia e il Comune di Brindisi insorsero contro le due determine della Regione Puglia che avevano dato l’ok all’operazione Punta Penne, sulla base di una Valutazione di impatto ambientale che teneva solo conto della ricerca della compatibilità tra la sabbia dei giacimenti sommersi e quella delle spiagge di San Cataldo, ma non delle gli effetti collaterali del progettato prelievo di 200mila metri cubi di sabbia su una superficie di 250mila metri quadrati della cava sommersa di Punta Penne.

La Provincia di Brindisi inviò alla Regione Puglia una controrelazione scientifica in cui si descrivevano i possibili contraccolpi del prelievo sul delicatissimo equilibrio costiero brindisino, dove la battigia era in arretramento di 30-40 centimetri l’anno. Il prelievo avrebbe innescato un gioco di correnti che avrebbe accentuato proprio i fenomeni erosivi. Il ricorso al Tar della Provincia di Brindisi ottenne l’annullamento delle due determine regionali, proprio perché in sede di Via non erano stati considerati i rischi evidenziati dalla Provincia di Brindisi, ma davanti al Consiglio di Stato vinse invece Lecce. Ormai però era troppo tardi per attuare il progetto.

Bisogna anche ricordare che il 17 ottobre 2011, fu stipulato un protocollo d’intesa tra Regione Puglia nella persona dell’allora assessore alle Opere pubbliche, Fabiano Amati, la Provincia di Brindisi e i sindaci protempore di Fasano, Ostuni, Carovigno, Brindisi, San Pietro Vernotico e Torchiarolo, Autorità di Bacino e Arpa Puglia, per progetti sperimentali di difesa delle coste basse, di cui non si conosce lo stato di attuazione, a distanza di quattro anni e mezzo.

Erosione, la spiaggia dei Vigili del FuocoLe attività concordate nel protocollo d’intesa erano: elaborazione di progettualità tecniche per il ripascimento protetto delle spiagge dei Comuni costieri della Provincia di Brindisi. attivazione delle procedure per il rilascio di pareri, autorizzazioni, nulla osta e quant’altro previsto dalla normativa vigente; approvazione dei progetti ed individuazione delle relative linee di finanziamento; verifica finale dell’attuazione dell’intervento.

Tutto, dice quel protocollo d’intesa, deve avvenire in cinque fasi: la seconda prevede che “verranno redatti i progetti definitivi ed esecutivi per gli interventi di ripascimento protetto, delle aree critiche individuate in ciascun comune; sarà determinato l’eventuale periodo transitorio di limitazione della balneazione in ragione della valutazione delle caratteristiche delle acque dopo l’esecuzione dell’intervento di ripascimento; la valutazione della torbidità indotta dalle attività previste dovrà essere condotta anche al fine di escludere impatti significativi, diretti e indiretti, su eventuali “aree sensibili” individuate nella Fase I (quella del monitoraggio e delle caratterizzazioni iniziali”.

In altre parole, se dallo studio dell’Ismar- Cnr di Bologna dovesse emergere che in uno dei giacimenti sabbiosi sommersi lungo la costa brindisina il prelievo su può fare senza complicazioni, i Comuni sopracitati e la Provincia, assieme alla Regione Puglia, potrebbero ricordare che un diritto di prelazione esiste, malgrado i ritardi nell’attuazione del protocollo. Restano i dubbi, tanti, sull’utilità dei ripascimenti, sugli effetti collaterali, sull’intorbidamento delle acque. Ma se non ci sono amministrazioni costiere reattive, chi può confutare e approfondire questi temi, nei tempi rapidi che impongono i processi di erosione?

La falesia in erosione ad Acque Chiare-2Senza dimenticare che le alternative esistono. Quando il Comune di Brindisi chiese di poter ripascere le spiagge a sud del capoluogo, la Regione bocciò il progetto dicendo che bisognava ricorrere all’utilizzo delle sabbie di cave terrestri, perché i prelievi subacquei erano controproducenti.  Salvo poi qualche tempo dopo cambiare opinione quando la richiesta arrivò da Lecce. Ma un progetto per raffinare le sabbie delle cave fossili che esistono al centro del Salento c’è, ed è frutto del lavoro del geologo Tommaso Elia e del chimico Franco Mazzotta, che nell’ottobre 2006 lo avevano presentato all’assessore regionale Guglielmo Minervini.

Elia aveva individuato 11 giacimenti di sabbia fossile nel Salento, mentre Mazzotta aveva sperimentato con successo in laboratorio un procedimento per liberare la sabbia dalle scorie argillose e riportarla allo stato originario. Un processo facilmente industrializzabile, che risolverebbe, avevano detto i due autori, ogni conflitto sul ricorso ai prelievi dai giacimenti sottomarini. Anche qui, le amministrazioni locali non hanno mai compiuto passi concreti.

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