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Intervento/ Discriminate nelle liste? Ecco cosa impedisce alle donne di stare in politica

Credo di aver scritto già, o comunque più volte espresso in passato, alcune delle considerazioni che riporto oggi dopo la lettura dell'intervento di Dipientrangelo pubblicato ieri su Brindisi Report, quasi a voler rispondere ad alcuni dei quesiti posti. Ma tant'è la ripetizione, in tema di parità di genere, non è purtroppo mia esclusiva e sicuramente è segno dei tempi e dei grossi ritardi culturali di questa nostra Italia

Credo di aver scritto già, o comunque più volte espresso in passato, alcune delle considerazioni che riporto oggi dopo la lettura dell’intervento di Dipientrangelo pubblicato ieri su Brindisi Report, quasi a voler rispondere ad alcuni dei quesiti posti. Ma tant’è la ripetizione, in tema di parità di genere, non è purtroppo mia esclusiva e sicuramente è segno dei tempi e dei grossi ritardi culturali di questa nostra Italia.

Nessuna sorpresa circa l’esito delle candidature alle prossime regionali, né riguardo a quelle maschili né rispetto a quelle femminili, entrambe unico e possibile risultato del modo di intendere la partecipazione delle donne alla politica, anche nel PD. E’ evidente ormai che le donne mancano dalla scena politica e dai luoghi della decisione, non solo in termini di rappresentanza ma anche in termini di partecipazione, intesa nel senso più ampio.

Un motivo della distanza delle donne dalla politica può essere trovato nella generale crisi delle forme più tradizionali della partecipazione politica, che vede cittadini sempre più delusi e sempre più disinteressati alla politica tradizionalmente intesa. L’astensionismo è da più parti utilizzato come indice di questo crescente disinteresse verso la politica e di una ormai scarsissima attribuzione di efficacia alla stessa, soprattutto in rapporto alla soluzione di problematiche legate a situazioni di vita “reali”.

Ma c’è una specificità tutta femminile del difficile rapporto tra donne e politica, che ha identica origine dell’altrettanto difficile rapporto tra donne e lavoro. Solidi stereotipi di genere governano le dinamiche, peraltro estremamente interconnesse, di questi due ambiti di partecipazione sociale. I modelli di genere tuttora attivi, quelli culturalmente prevalenti in una società ad impronta fortemente patriarcale,  fanno ricadere, in misura prioritaria se non addirittura esclusiva, sulla donna i “compiti” e le responsabilità della gestione della casa, dei figli, nonché del compagno.

Anche quando lavora la donna  mantiene praticamente inalterati i suoi impegni domestici ed è chiamata ad una maggiore responsabilità verso i figli,  verso le figure anziane o comunque bisognose del nucleo familiare di riferimento.  Si definisce così per la donna una scala di priorità o di obblighi alla quale ogni donna fa fatica a sottrarsi, non solo per i motivi culturali ben noti ma anche per l’inadeguatezza del sistema di welfare in termini di servizi di assistenza e di cura (pochi posti negli asili nido, scarsa offerta di servizi di assistenza domiciliare, nessun servizio di accoglienza dei ragazzi oltre il tempo scuola da parte delle scuole …).

Ogni donna, per sopravvivere,  finisce per tagliare quella parte di tempo che potrebbe essere dedicata diversamente a sé e dunque trovare anche la forma di un impegno e di una partecipazione politica maggiore. Al pari del sistema del welfare anche la stessa organizzazione materiale dei percorsi della politica è notoriamente ostacolo alla partecipazione femminile (tempi della politica come orari e durata delle riunioni,  liste bloccate e ordine di preferenza decise entro i partiti, forte struttura gerarchica dei partiti stessi).

Molte donne continuano a “mancare” dalla politica perché partecipare alla politica richiede tempo che le donne non hanno, “costrette” culturalmente e per disorganizzazione sociale a dedicarlo tutto al lavoro e alla gestione del proprio nucleo familiare. Ma le donne così lontane dalla politica per questioni di tempo, finiscono per non poter sviluppare una loro cultura politica, quale frutto di lunghi e complessi percorsi di socializzazione, che possono nascere raramente in famiglia, e molto più facilmente nel partito, o in un’organizzazione sociale più ampia della famiglia,  dove quello che si impara sono valori, atteggiamenti verso  la politica stessa ed il suo ruolo sociale, il suo valore.

Le donne tagliano il superfluo, e la politica, nell’inefficacia della sua azione, nel suo apparire lontana e improduttiva,  legata a dinamiche di puro potere, è la prima ad essere giudicata superflua. Per questo motivo ad essere candidate sono sempre e solo le poche donne che “fanno e vivono” di politica, che condividono con gli uomini di partito valori e senso (mi verrebbe da dire obiettivi) del loro stesso agire politico. Donne espressione di uomini, in poche parole, e che  tutte le altre donne elettrici non riconoscono e non votano, non fidandosi.

Una candidatura femminile non può nascere a due mesi dall’evento elettorale ma al contrario dovrebbe essere il frutto di un investimento di carattere duraturo di tutte le forze politiche, anche con l’organizzazione permanente di scuole di formazione, che decidono di dotarsi di una vera e propria classe dirigente. Non servono infatti donne in quanto donne, ma donne che possano portare nel sistema politico capacità politica, competenza decisionale, progettualità.

La maggiore partecipazione femminile alla politica rimane un obiettivo da perseguire attraverso più ampie strategie di educazione alla cultura politica e alla partecipazione attiva in generale ma anche attraverso azioni che incidano direttamente sul piano del welfare (liberare il tempo delle donne!!!). Bisognerebbe lavorare sul coinvolgimento e sulla costruzione di possibilità e occasioni di presenza delle donne, utilizzando tutte le risorse del territorio ed elaborando strategie di intervento che possano “affrontare o risolvere”  difficoltà materiali legate all’età, al reddito, ma anche ai modi e alle modalità di vivere la politica.

La soluzione è un po’ più complessa e un po’ più lunga e richiede ai partiti impegno costante e non effetti speciali in prossimità delle elezioni. Sempre che i partiti, PD compreso, abbiano voglia e soprattutto consapevolezza della necessità di cominciare a ridefinirsi per non perdere del tutto la forza della rappresentanza e la loro identità sociale.

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