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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

Dure condanne ai "nipotini di Riina"

BRINDISI – Un totale di 76 anni di carcere e tre assoluzioni. Dopo quasi due anni si chiude definitivamente l'operazione “New Fire” che il 20 luglio del 2009 portò all'arresto di otto sanpietrani accusati a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione rapina, danneggiamento a mezzo fuoco, minacce aggravate, detenzione e porto abusivo di arma da fuoco e furto.

BRINDISI – Un totale di 76 anni di carcere e tre assoluzioni. Dopo quasi due anni si chiude definitivamente l'operazione “New Fire” che il 20 luglio del 2009 portò all'arresto di otto sanpietrani  accusati a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione rapina, danneggiamento a mezzo fuoco, minacce aggravate, detenzione e porto abusivo di arma da fuoco e furto.

Ieri sono state emesse le sentenze: Roberto Trenta, 30 anni, è stato condannato a trent'anni (confermata la richiesta del pm Milto De Nozza); Crocefisso Geusa, 21 anni, esecutore materiale degli attentati incendiari messi a segno a San Pietro tra il 2008 e il 2009,  è stato condannato a 22 anni (il pm aveva chiesto 24 anni e 2 mesi); Fabrizio Annis, 29 anni, detto “Spennato” è stato condannato a dieci anni e due mesi (De Nozza aveva chiesto 28 anni), Fabio Geusa, 25 anni, dovrà scontare 8 anni e 4 mesi (per lui erano stati chiesti 9 anni e 4 mesi); Michele Turco, 30 anni, è stato condannato a sette anni (il pm aveva chiesto 7 anni e due mesi), per Adriano Chetta, 28 anni, condanna per un anno e sei mesi (nove anni e 8 mesi).

Assolti, invece, Cosimo Damiano Laporta 25 anni (confermata la richiesta del pm), Antonio Martella, 22 anni (confermata la richiesta del pm) e Riccardo Paladini, 24 anni (il pm aveva chiesto 9 anni). Ieri nel tribunale di Brindisi, il presidente del collegio giudicante  Gabriele Perna, ha letto il verdetto finale. I familiari di Trenta hanno dato in escandescenze. In pochi minuti sono volati insulti e minacce nei confronti di giudici e avvocati, così forti e impetuosi che si è reso necessario l'intervento di carabinieri e polizia. Il tribunale è stato presieduto dalle forze dell'ordine fino a quando la moglie e i parenti di Giuseppe Trenta non hanno lasciato viale Togliatti.

I sei condannati di ieri avevano dato vita a una vera e propria associazione per delinquere di stampo mafioso. Volevano far rinascere la Sacra Corona Unita e imporre la propria autorità nel paese.  Dal 25 luglio al 23 settembre del 2008 a San Pietro Vernotico furono incendiati 26 mezzi (tra auto, pale meccaniche, furgoni e camion) e una salumeria, furono recapitate teste di coniglio mozzate all'allora sindaco Gianpietro Rollo e al consigliere di maggioranza Sergio Palma.

La banda  ritenuta responsabile di questi atti criminosi fu sgominata un anno dopo grazie a una minuziosa attività investigativa da parte degli uomini dell'Arma.  Fu accertato che   l’obiettivo principale era quello di generare nella cittadinanza un diffuso clima di terrore prodromico a una successiva attività estorsiva, di cui sono stati, poi accertati, diversi tentativi ai danni di imprenditori del posto.

Nel corso delle indagini fu inoltre riscontrato che il sodalizio criminoso aveva diversificato i propri interessi criminali in altri centri delle province di Brindisi e Lecce, dove si era reso responsabile di furti e rapine per reperire denaro da investire nel traffico e nello spaccio di sostanze stupefacenti. Otto persone finirono in carcere il 20 luglio del 2009 su ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Lecce Ercole Aprile su richiesta del pm Milto De Nozza e del capo della direzione distrettuale Antimafia Cataldo Motta. Ieri le condanne.

Il gruppo Annis (i componenti si autodefinivano “i nipotini di Totò Riina) viveva e operava nella consapevolezza di finire in galera, e infatti gli ambienti frequentati dai soggetti più interessanti della banda erano monitorati dalle microspie: “Tanto lì ci portano, e noi siamo pronti. Il carcere ti fa diventare più potente, si imparano più cose”, si dicevano tra loro. Poi è arrivata la tempesta, con le accuse di associazione di stampo mafioso in estorsioni, rapine, armi e droga. Un contributo importante alle indagini arrivò da un pentito, Davide Tafuro, già processato con rito abbreviato assieme ad altri due imputati.

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