Spara per uccidere il rivale in amore: un uomo incastrato dal Dna
Individuato il presunto responsabile dei colpi di arma da fuoco esplosi il 16 maggio 2017 nei pressi di parco Maniglio, al rione Bozzano. Si tratta del 29enne Roberto Licci
BRINDISI – L’esame del Dna ha inchiodato il presunto autore di un tentato omicidio per motivi passionali avvenuto nel primo pomeriggio del 16 maggio 2017 nei pressi di Parco Maniglio, al rione Bozzano di Brindisi. Si tratta del 29enne Roberto Licci, di Brindisi. L’uomo all’alba di oggi (mercoledì 28 novembre) è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del tribunale di Brindisi, su richiesta della locale procura, al culmine delle indagini effettuate dai carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto operativo del comando provinciale di Brindisi, supportati dai colleghi delle compagnie di Brindisi e San Vito dei Normanni nell’esecuzione del provvedimento restrittivo.
Al giovane sono stati contestati i reati di tentato omicidio aggravato, detenzione e porto in luogo pubblico di arma comune da sparo, danneggiamento dell’autovettura condotta dalla vittima, nonché esplosione in luogo abitato di quattro colpi di pistola.
L'agguato
Da quanto appurato dagli inquirenti, Licci, mentre si trovava in sella a uno scooter T-Max, ingaggiò un inseguimento con una Fiat guidata da un 34enne già noto alle forze dell’ordine, esplodendo nei confronti della vettura quattro colpi di pistola calibro 38. Successivamente lo scooter è stato speronato e bersagliato da altri colpi di arma da fuoco esplosi da una persona ancora da identificare, che si trovava a bordo di un’utilitaria. Tutto questo avvenne fra viale Belgio, viale Francia e viale Gran Bretagna, davanti agli occhi di numerosi cittadini.
Video: l'arrestato prelevato dalla sua abitazione
Il movente dell’azione delittuosa sarebbe da ricondurre a questioni di natura passionale legate a una donna contesa. I militari, tramite esame balistico, hanno appurato che solo due dei quattro proiettili esplosi hanno colpito l’auto della vittima: uno di essi, potenzialmente letale, dopo aver penetrato la carrozzeria del portellone posteriore, è fuoriuscito, attraversando la cappelliera in sei punti, per poi impattare e terminare il suo moto contro lo schienale dei sedili posteriori.
E poi decisivo è stato l’esame del Dna rinvenuto sugli occhiali e sul casco repertati nelle adiacenze della scena del crimine, risultato compatibile con quello dell’indagato.
L'uso del T-Max
Secondo gli inquirenti, Licci avrebbe agito con l’intenzione di uccidere il rivale in amore. “La condotta – si legge in una nota del comando provinciale dei carabinieri di Brindisi - è sintomatica della personalità dell’indagato rivelatrice della ferma volontà di colpire a morte la vittima, infatti si procura un veicolo potente e maneggevole a trasmissione automatica capace di raggiungere velocità ragguardevoli, con cui districarsi agevolmente nel traffico urbano permettendogli quindi di utilizzare la pistola durante la guida”.
A detta degli investigatori “l’uso dello scooter rispondeva quindi a una doppia funzione: inseguire la vittima, utilizzare la pistola esplodendogli i colpi e assicurarsi la fuga e l’impunità grazie al casco, se non fosse caduto a seguito dell’intervento del conducente di una Fiat Uno intervenuto a supporto della vittima”.
Tragedia sfiorata
Solo una fatalità ha scongiurato che le conseguenze dell’azione dell’indagato fossero state più fosche. Ed è una fortuna che non vi siano state conseguenze anche per i passanti, se si considera che l’agguato avvenne intorno alle ore 15, in un pomeriggio primaverile in cui le persone si riversano per le strade del quartiere densamente popolato. Basti pensare che uno dei colpi ha attinto accidentalmente un furgone parcheggiato sulla pubblica via, avrebbe potuto tranquillamente colpire un passante determinando una tragedia.
Articolo aggiornato alle 11,08