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Cronaca

Brindisi e gli Albanesi: verità storiche e falsi giornalistici

Brindisi rischia nuovamente di farsi rubare la propria storia da commemorazioni cronologicamente e giornalisticamente imprecise. La storia dell'esodo degli albanesi in Puglia, si sa, è stata spostata ormai da molti anni a Bari, con deboli e sporadiche proteste della città che invece è stata realmente protagonista delle vicende di quei giorni

BRINDISI – Brindisi rischia nuovamente di farsi rubare la propria storia da commemorazioni cronologicamente e giornalisticamente imprecise. La storia dell’esodo degli albanesi in Puglia, si sa, è stata spostata ormai da molti anni a Bari, con deboli e sporadiche proteste della città che invece è stata realmente protagonista delle vicende di quei giorni. Lo ricordano perfettamente gli inviati dei grandi giornali che arrivarono a Brindisi in quei mesi del 1991, ma anche l’anno precedente, che scrissero servizi pieni anche di grande passione civile.

Basterebbe, per le commemorazioni a 25 anni dalla grande fuga, andare a rileggerli. Sono negli archivi de La Repubblica, del Corriere della Sera, della Stampa, del Manifesto e dell'Unità, oltre che dei giornali locali dell’epoca, il Quotidiano di Brindisi e la Gazzetta del Mezzogiorno. Eppure si sceglie chissà perché come data simbolo solo quella del 7 marzo, quando nella realtà le prime avanguardie arrivano nella seconda metà di febbraio del 1991.

Erano giorni febbrili, in cui spesso erano i contrabbandieri a raccontare, rientrando dalle loro traversate tra Durazzo e Brindisi, dell’assalto dato a quel porto da migliaia e migliaia di persone che volevano arrivare in Italia. Notizie raccolte dalla Capitaneria, e poi passate a Roma attraverso la Prefettura. Brindisi tuttavia era già stata la sponda, l’anno precedente, della prima ribellione alla dittatura di Enver Hoxha. Centinaia di oppositori avevano scavalcato muri di cinta e cancelli delle ambasciate occidentali chiedendo asilo politico.

Dopo una lunga trattativa con il governo albanese, a circa 2500 rifugiati fu consentito di passare in Europa. Ne fu organizzata l’evacuazione con navi traghetto, e furono trasferiti a Brindisi. Una parte di essi ripartì immediatamente per la Germania con un treno appositamente allestito, gli altri rimasero per alcune settimane a Restinco, dove era stato impiantato (in quello che poi è diventato l’attuale Cara-Cie) un campo con l’assistenza della Croce Rossa e delle forze di polizia.

Un’avvisaglia del grande fuoco che covava sotto la cenere. La fuga cominciò l’anno dopo a febbraio inoltrato, con pescherecci e piccole imbarcazioni, e gli arrivi si fecero sempre più frequenti. Brindisi, il porto più vicino a Durazzo, era il punto di approdo della rotta tracciata. Il 4 marzo una piccola nave entrò anche a Monopoli. L’ondata umana si stava ammassando sulle banchine di Durazzo, dove la polizia non riusciva più a controllare la situazione.

La gente, senza  null’altro che i panni che indossava, si imbarcò su mercatili rugginosi, rimorchiatori, bettoline, che cominciarono a presentarsi all’alba davanti al porto di Brindisi. Nel giro di 48 ore ne erano sbarcati oltre ventimila, che diventarono presto trentamila. La città, in quelle ore, era sola con i suoi vigili del fuoco, marinai della Capitaneria e del Reggimento San Marco, poliziotti, carabinieri e finanzieri, medici e paramedici, vigili urbani e volontari.

Lo ricorda in un libro il sindaco Pino Marchionna. L’intero Seno di Levante diventò una città-accampamento: la ex stazione marittima, il capannone Montecatini, le banchine furono sigillate e divennero area di contenimento in attesa del piano di emergenza. Apparvero centinaia di tende improvvisate con teli di plastica, strani involucri di umanità sofferente ma anche piena di speranze.

Poi 38 edifici scolastici diventarono ostelli: la grande massa umana fu spostata nelle elementari, medie e superiori di Brindisi. Ci rimase sino a Pasqua, e prima di riaprire fu necessario effettuare massicce disinfezioni e manutenzioni. Le scuole furono la casa degli albanesi sino a quando fu pronta la terza soluzione, quella del ricovero nei camping e negli alberghi della costa. Arrivarono i paracadutisti della Folgore e 489 roulotte, assegnate ai nuclei familiari.

Gli albanesi rimasero a Specchiolla, Villanova e Torre Canne altri mesi, prima di essere smistati in altre regioni italiane. In prefettura, il governo aveva dovuto fare i conti con la dura protesta dei sindaci del territorio per i pesanti ritardi nell’intervento a Brindisi, città lasciata sola per sette giorni con trentamila cittadini in più, vestiti e sfamati dalla popolazione. Il ministro Vito Lattanzio lasciò una delle riunioni, stizzito per le rimostranze persino anche dei giornalisti che avevano molte cose da dire al governo, dopo l’impatto con la realtà.

Eppure nessuno ha mai riconosciuto a Brindisi l’impegno civile e popolare, il sacrificio del territorio che aveva messo a disposizione scuole e strutture turistiche. Si parla, naturalmente, di riconoscimenti istituzionali, perché le cronache di quei giorni, e i libri, ne sono pieni. Bari ha ricevuto la medaglia d’oro al valor civile per aver rinchiuso nel vecchio stadio San Nicola i ventimila della Vlora, nave paratasi nel luglio del 1991 davanti al porto di Brindisi, e direttasi poi a Bari perché al comandante era stato comunicato che il porto era stato sbarrato con una catena.

Quindi, nel 1997, la terza ondata: quella sospinta dalla rivolta popolare contro la gigantesca truffa delle finanziarie che avevano spogliato il popolo albanese di ogni risparmio. Arrivarono a Brindisi anche unità e persino aerei militari, dal Paese delle Aquile, per riaprire la strada verso l’Europa Occidentale.

Brindisi non vuole medaglie, ma ridurre la storia del febbraio-marzo 1991 a prologo di ciò che poi accadde a luglio a Bari è solo una forzatura irrispettosa anche della cronaca di quei fatti. Qualcuno è pronto a organizzare un convegno per ridare rigore storico all’esodo del 1991, e a usare i materiali fotografici, video e giornalistici, e gli atti ufficiali, le testimonianze, e spiegare – con il concorso della scuola – cosa è avvenuto in questa città e cosa potrebbe ancora avvenire, in seguito ai cambiamenti epocali nei Balcani e in Medio Oriente?

Da base per portare in salvo l’esercito serbo durante l’avvio del primo conflitto mondiale, all’accoglienza degli ebrei diretti in Palestina e dei profughi istriani dopo la seconda guerra mondiale, all’esodo dall’Albania. Da raccontare c’è molto.

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