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Cronaca

L'ex capo contrabbandiere Sparaccio muore in carcere. "Non è stato curato"

CASERTA - Da tempo accusava atroci dolori allo stomaco e al ventre, per i quali il 25 gennaio scorso l’avvocato difensore Daniela D’Amuri aveva chiesto il ricovero con urgenza, ma in ospedale l’ex boss della Scu Francesco Sparaccio, 53 anni, non ci è mai arrivato. E’ morto a mezzanotte fra domenica e lunedì nella cella del carcere di Carinola, dove stava scontando l’ergastolo per l’omicidio di Francesco Incantalupo, scomparso la sera del 12 aprile 1992 e mai più ritrovato, il primo caso di lupara bianca in terra di Brindisi. Per la morte di Sparaccio la famiglia ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Caserta, nei prossimi giorni l’autopsia che stabilirà se la mancanza delle cure richieste e il mancato ricovero siano stati determinanti oppure no nel cagionare la morte del detenuto.

CASERTA - Da tempo accusava atroci dolori allo stomaco e al ventre, per i quali il 25 gennaio scorso l’avvocato difensore Daniela D’Amuri aveva chiesto il ricovero con urgenza, ma in ospedale l’ex boss della Scu Francesco Sparaccio, 53 anni, non ci è mai arrivato. E’ morto a mezzanotte fra domenica e lunedì nella cella del carcere di Carinola, dove stava scontando l’ergastolo per l’omicidio di Francesco Incantalupo, scomparso la sera del 12 aprile 1992 e mai più ritrovato, il primo caso di lupara bianca in terra di Brindisi. Per la morte di Sparaccio la famiglia ha presentato un esposto alla procura della Repubblica di Caserta, nei prossimi giorni l’autopsia che stabilirà se la mancanza delle cure richieste e il mancato ricovero siano stati determinanti oppure no nel cagionare la morte del detenuto.

Non sarebbe mai più ritornato a una vita normale, Francesco Sparaccio lo sapeva, sebbene di quel delitto che gli era costato la condanna definitiva al fine pena mai, si era sempre proclamato innocente. Il Tribunale di Brindisi prima, la sentenza della Corte d’assise d’appello di Lecce del 24 marzo 2003 poi confermata in Cassazione, avevano attestato il suo ruolo nell’omicidio Incantalupo, sulla scorta delle testimonianze di numerosi pentiti, fra cui Vito Di Emidio. Nel 1992 morirono ammazzati lungo le strade del Brindisino anche Teodoro Carratta, Umberto De Nuccio e Francesco Marrazza. Omicidi consumati nel tentativo di accaparrarsi gli affari clandestini legati al territorio, contesi fra le bande egemoni in seno alla Scu, a partire dal contrabbando dei tabacchi lavorati esteri. Sparaccio, nel settore, la faceva da padrone.

Quella sera del 12 aprile 1992, l’anno della mattanza, Francesco Incantalupo sarebbe dovuto rientrare nel carcere di via Appia, godeva della semilibertà concessa a nove mesi dalla scarcerazione. Di giorno raggiungeva il posto di lavoro, a bordo della sua Fiat Panda, e la sera rientrava in carcere a dormire. La notte della scomparsa l’auto fu notata dai carabinieri sulla strada provinciale Brindisi–Sandonaci, ma i militari non sapevano ancora che Incantalupo era scomparso. Quando ritornarono sulla provinciale dell’auto non c’era più traccia. La vittima aveva 36 anni. L’ultima volta era finito in carcere dopo un periodo di latitanza ed una tentata rapina ai danni di una gioielleria di Lecce.

Sono molti i pentiti, fra cui il killer Vito Di Emidio, che hanno attribuito a Sparaccio quell’omicidio. Incantalupo, dissero, fu strangolato, dal brindisino e da Giuseppe Massaro, arrestato nel 2005 a 52 anni e poi convertito alla collaborazione con la giustizia. Sparaccio no, non si era mai pentito, per quanto avesse sempre risolutamente negato di aver commesso quell’omicidio. Lui le mani non se le era mai sporcate, diceva. Il ruolo di primo piano nella Scu se l’era conquistato dopo l’arresto di Adriano Stano e Salvatore Buccarella, dal 1999 era lui che comandava una fetta importante dei traffici di tle in Montenegro, fino all’estradizione, avvenuta il 2 ottobre dello stesso anno. Per contrabbando Francesco Sparaccio trascorre in carcere gli anni dalla dine del ’99 ad ottobre del 2002, ininterrottamente.

Subito dopo la sentenza della corte d’appello di Lecce del 26 marzo 2003, che lo condanna all’ergastolo, scompare. Insieme a lui vengono condannati, anche per gli altri delitti, Oronzo D’Arpa, Pietro Pagliara, Antonio De Nicola, Cosimo Cafueri, Fernando Montenegro. A Roberto Zantonini la condanna venne notificata in carcere. All’ergastolo vengono condannati anche Vito Di Emidio e Salvatore Buccarella. La latitanza di Francesco Sparaccio dura poco. Il 25 settembre 2003 viene scovato dalla guardia di finanza in casa della convivente, da allora non ha mai più messo piede fuori dal carcere. Qualche mese addietro comincia ad accusare dolori per i quali chiede sempre più frequentemente assistenza infermieristica. Viene curato con Malox e antidolorifici, anche per via endovenosa. Ma le condizioni del detenuto non migliorano.

Il 25 gennaio la convivente si reca nello studio del legale Daniela D’Amuri, parte in giornata l’istanza con la richiesta di ricovero urgente. L’avvocato denuncia al magistrato di sorveglianza le condizioni di salute del proprio assistito, ne sottolinea la gravità e il timore, assai fondato, che il malessere degeneri. Se il magistrato abbia mai disposto il ricovero, non è dato sapere. Certo è che Francesco Sparaccio in ospedale non c’è mai arrivato. E’ morto a mezzanotte, nella cella dov’era recluso, l’autopsia dirà perché e se quella morte si poteva scongiurare. Se il diritto alla salute, che è diritto universale di ogni persona, è stato riconosciuto anche all’ex boss condannato per omicidio.

Se la legge è davvero uguale per tutti. Ovvero se quel diritto non sia stato negato a un uomo che per la sua stessa condizione di detenuto, era ultimo. Un diritto per il quale, in queste ore, sta lottando anche un giovane detenuto nel carcere di Bari, il 30enne di origini francavillesi Massimo Di Palmo, gravemente cardiopatico. Il giudice del tribunale di Brindisi Giuseppe Licci ne ha disposto il ricovero nel Centro clinico del capoluogo barese, ma nella clinica non c’è posto. E’ stato trasferito in una cella dove vive con altri otto detenuti, fumatori. Sente mancargli il cuore e la vita, un giorno dopo l’altro. Uno stillicidio, che rischia di essere preludio di un’altra tragedia.

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