rotate-mobile
Cronaca Mesagne

Picchiato a morte, c'è un indagato. Il movente: aver abusato di una minorenne

MESAGNE - Fu ucciso a sprangate il 16 giugno di due anni fa. L’assassino di Giancarlo Salati, 62 anni, impugnò un bastone di ferro e picchiò duro, 16 colpi, riuscendo a rimanere nell’ombra per due lunghi anni. La svolta attesa sembra essere arrivata. Martedì prossimo sarà sottoposto a interrogatorio e prova del Dna il 40enne di San Pietro Vernotico Angelo Carrieri, unico indagato per l’omicidio.

MESAGNE - Fu ucciso a sprangate il 16 giugno di due anni fa. L’assassino di Giancarlo Salati, 62 anni, impugnò un bastone di ferro e picchiò duro, 16 colpi, riuscendo a rimanere nell’ombra per due lunghi anni. La svolta attesa sembra essere arrivata. Martedì prossimo sarà sottoposto a interrogatorio e prova del Dna il 40enne di San Pietro Vernotico Angelo Carrieri, unico indagato per l’omicidio.

Lo chiamavano “Menza recchia”, nomignolo affibbiato alla famiglia con riguardo al difetto d’udito di qualche avo, probabilmente, come accade nei paesi del Sud. Nomignolo bizzarro e fedina penale tutt’altro che intonsa. Sulla vita violenta di Giancarlo Salati erano piovute accuse di furto, le più innocenti, ma anche di sfruttamento della prostituzione. E potrebbe esserci la drammatica storia di una bimba, quindicenne appena, violata e gravida dell’anziano Menza recchia, a muovere la mano dell’assassino, chiunque egli sia.

Di questa storia si mormorò insistentemente nel paese a caldo dell’omicidio, la gente sapeva. Tutti conoscevano anche l’identità del presunto killer, balbettato a bassa voce nei bar e nelle case. Ma nessuno parlò. L’omertà che per troppo tempo ha ammantato, a Mesagne come altrove, gli omicidi di mafia, non c’entrava. Era piuttosto una specie di terribile solidarietà per la disperazione di chi aveva voluto vendicare quella bimba offesa, cui era stato inflitto un ricordo lungo una vita. Gli agenti del commissariato di polizia di Mesagne, al comando del vice-questore Sabrina Manzone hanno sempre saputo quello che tutti sapevano, naturalmente. Ma le voci non sono prove.

L’aggressione avvenne nel tardo pomeriggio del 16 giugno, due anni fa esatti. Giancarlo Salati si trovava nella casetta nel centro storico dove viveva da solo, in via Mauro Capodieci. Fu Menza recchia il primo complice del killer che lo aveva ridotto in fin di vita. Qualche istante dopo l’aggressione chiamò la figlia, Claudia, chiedendo aiuto. Raccontò di essere caduto maldestramente dalle scale, morì dopo un giorno e mezzo di coma nell’ospedale Perrino di Brindisi, dove fu ricoverato per politrauma contusivo e emorragia cerebrale. Ma certamente ebbe tempo e lucidità sufficienti a raccontare come erano andate veramente le cose, non volle farlo. Perché? E’ questo il primo quesito al quale gli inquirenti hanno cercato risposta per tutto questo tempo, perché fu chiaro fin da subito che la vittima aveva mentito.

Nella casetta del centro storico gli investigatori si trovarono di fronte alla scena, inequivocabile, di una violenta colluttazione. C’erano schizzi di sangue, c’era un disordine infernale, come se Salati si fosse fatto schermo con sedie e mobili per mettersi al riparo dalla furia dell’assassino. Killer per caso, forse. Forse quell’uomo armato di bastone non voleva uccidere, soltanto dare sfogo ad una rabbia incontrollata e cieca, impartire una lezione che non avrebbe potuto comunque riparare al dolore inflitto alla bambina. Se il movente è davvero questo. Di sicuro, per fronteggiare la stazza di Salati, ad armarsi di spranga non poteva che essere stato un uomo.

Sulla quella che poco più di 36 ore dopo l’aggressione era la scena del delitto, gli investigatori fotografarono indizi, raccolsero reperti tutti scrupolosamente custoditi, e nei giorni successivi cercarono nella vita della vittima i rancori che avevano potuto scatenare la violenza dell’assassino. Quel quadro indiziario ha confermato i rumors che si sollevarono a caldo della vicenda, portando dritto a San Pietro Vernotico. Qui vive la bimba che sembra abbia confermato la relazione clandestina subita contro la propria volontà.

Qui vive l’unico indagato per quell’omicidio che potrebbe avere le caratteristiche della preterintenzionalità. La decisione spetta al pubblico ministero Valeria Farina Valaori che per martedì prossimo ha fissato il primo interrogatorio a carico di Angelo Carrieri e il prelievo organico per la comparazione del Dna con i reperti prelevati nella casetta in via Capodieci. Il 40enne dovrà anche dire dove si trovava il 16 giugno all’ora esatta in cui avvenne l’aggressione, prova di memoria senza cedimenti, data la posta in gioco.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Picchiato a morte, c'è un indagato. Il movente: aver abusato di una minorenne

BrindisiReport è in caricamento