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Cronaca

Tangentopoli e il quarto processo

Non ha reso un buon servizio alla giustizia (e neanche alla magistratura) l’intervista rilasciata dal procuratore della Repubblica di Brindisi, Marco Dinapoli, al “Quotidiano” di Lecce a commento della sentenza della Cassazione che ha, nella sostanza, smontato gran parte del teorema accusatorio su cui poggiava la famosa “Tangentopoli brindisina” del 2003, quella che fece finire in galera il sindaco dell’epoca Giovanni Antonino, e cancellò la carriera politica di esponenti di primo piano della classe politica locale.

Non ha reso un buon servizio alla giustizia (e neanche alla magistratura) l’intervista rilasciata dal procuratore della Repubblica di Brindisi, Marco Dinapoli, al “Quotidiano” di Lecce a commento della sentenza della Cassazione che ha, nella sostanza, smontato gran parte del teorema accusatorio su cui poggiava la famosa “Tangentopoli brindisina” del 2003, quella che fece finire in galera il sindaco dell’epoca Giovanni Antonino, e cancellò la carriera politica di esponenti di primo piano della classe politica locale.

Dinapoli, cedendo all’emotività (rabbia giustizialista?), sostiene una tesi che ogni sincero democratico e garantista, a mio giudizio, dovrebbe respingere con forza. Leggendo e rileggendo l’intervista, mi sono chiesto ma in quale civiltà giuridica è scritto che le sentenze che valgono, sono quelle che vorrebbero i pubblici ministeri o quelle che si celebrano, e si concludono, sulle pagine dei giornali? Conoscendo, sia pure soltanto da cronista, la storia del dott. Dinapoli (che non conosco di persona) devo dire che evidentemente il dovere della difesa d’ufficio, gli ha giocato un brutto scherzo.

Non essendo uomo di legge non mi addentro nei meandri del diritto, ma da semplice cittadino che per mestiere ha battuto per anni anche i tribunali, sono convinto che la prescrizione sia una garanzia che lo Stato di diritto ha l’obbligo di dare ai suoi cittadini. Se gli inquirenti prima, e i giudicanti dopo non sono in grado di rispettare tempi umani (e l’Italia per il mancato rispetto di questi tempi è da sempre imputata di fronte alla Corte Europea) per la definizione dei processi in un contesto di garanzie, non è colpa certamente del cittadino che non può pagare oltre le disfunzioni della macchina giudiziaria.

E’ vero che la prescrizione non significa assoluzione, ma non significa neanche condanna perché in teoria l’imputato sarebbe potuto anche risultare innocente se il processo fosse stato celebrato. Né si può, proprio per il funzionamento ingiusto della giustizia italiana, condannare chi rinuncia a priori alla garanzia della prescrizione. E siccome tutti i cittadini meritano lo stesso rispetto: non ne esiste, dopo i primi tre gradi di giudizio, un quarto ad esclusiva disposizione dei pubblici ministeri per le loro personali sentenze.

E il dott. Dinapoli deve rispetto anche ai suoi colleghi giudicanti se non vuole che si finisca con il dare ragione –ora che finalmente ce li siamo tolti davanti- a Berlusconi e a coloro che la pensano come lui in tema di giustizia e del ruolo dei pubblici ministeri. Di Napoli all’epoca non era ancora a Brindisi e certamente non ha vissuto in prima persona quella indagine. Posso testimoniare che, prima degli arresti, se ne parlava già da mesi in tutti i luoghi, nelle redazioni dei giornali, nei bar, negli uffici. Qualcuno, mesi prima degli arresti del 9 ottobre 2003, mi mostrò una bozza di prima pagina di  giornale con i titoli cubitali e le foto di quelli che sarebbero stati arrestati. Cosa che puntualmente avvenne com’era scritto.

Ebbi l’impressione dell’esistenza di una sorta di concertazione “eterodiretta politicamente” tra inquirenti, stampa e settori dell’opinione pubblica per creare un clima favorevole all’evento che stava per compiersi (non si dimentichi che Antonino un anno prima era stato rieletto sindaco con oltre il 70% dei voti). Senza dimenticare che da dove sia partita veramente quell’inchiesta non si è mai con chiarezza stabilito (almeno sui giornali). Ma torniamo all’intervista rilasciata daI procuratore capo di Brindisi. Egli dimentica le conclusioni del primo processo, quello di primo grado che, a differenza di quello di Appello, si svolse nel suo naturale contesto ambientale (pur così fortemente alterato, come ho detto prima), durò mesi e mesi, e centinaia furono i testi ascoltati.

Quel processo, su cui comunque pesavano le deposizioni fiume di Antonino, escluse per alcuni imputati il reato di corruzione, ritenendo che si trattasse di finanziamento illecito dei loro partiti. Decisione ribaltata in Appello su ricorso dei pubblici ministeri e che oggi la Cassazione – leggeremo le ragioni nelle motivazioni- ritiene di doversene disinteressare perché il reato si è nel frattempo prescritto e vale quindi il giudizio di primo grado. Si capisce che il dott. Dinapoli debba difendere l’operato del suo ufficio e che quindi parteggi per la Corte d’Appello, ma che lasci intendere che i suoi colleghi di primo grado non abbiano capito niente, è scorretto.

Tanto più che la Cassazione ha respinto i ricorsi presentati proprio dalla procura generale della Corte di Appello. Ne consegue obbligatoriamente che a non leggere bene quei fatti sarebbe stata proprio quest’ultima. Non spende una parola il dott. Dinapoli invece per la sofferenza, i linciaggi mediatici, le carriere distrutte, i costi familiari, politici, economici, morali e civili di cittadini che dopo più di otto anni si vedono finalmente restituiti alla normalità. Esiste una moneta che possa risarcire queste persone? Anzi, il dott. Dinapoli, approfitta di una intervista per riaffermare la valenza di un teorema che gli esiti giudiziari, quelli veri, previsti dalla Costituzione e non dai pubblici ministeri, hanno riportato nel loro alveo naturale. E questo mette un pò paura.

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