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Intervento/ La Xylella va fermata con la scienza, non abbattendo i nostri ulivi

L'ulivo e la vite, l'olio e il vino favorirono, sin dalla più remota antichità, il ripristinarsi dei rapporti commerciali, nonché lo scambio culturale, tra Brindisi e la dirimpettaia Grecia; proprio dalla civiltà greca infatti la città di Brindisi aveva tratto esempi e modelli che non andarono sperduti

L’ulivo e la vite, l’olio e il vino favorirono, sin dalla più remota antichità, il ripristinarsi dei rapporti commerciali, nonché lo scambio culturale, tra Brindisi e la dirimpettaia Grecia; proprio dalla civiltà greca infatti la città di Brindisi aveva tratto esempi e modelli che non andarono sperduti; furono comunque i Fenici intorno al 7000 a.C. a diffondere la pianta dell’olivo in Europa. Ma, ancor prima, il mito fa risalire le origini dell’olivo e dell’olio agli dei dell’Olimpo. Si narra infatti che Zeus, padre degli Dei avesse proclamato una gara fra i suoi figli: chi avesse offerto alla Grecia il dono più utile avrebbe avuto in premio il dominio sulla città di Atene e su tutta la regione dell’Attica.

Le proposte furono numerose, ma su tutte ne prevalsero due presentate da  concorrenti eccezionali: da Atena, Dea della Sapienza e da Poseidone, Dio del mare. Quest’ultimo fece sbucare dalle onde uno splendido cavallo, mentre Atena trasse dalla terra un nuovo albero dalle argentee foglie: era l’olivo. A questo punto Zeus non ebbe esitazione, considerato che già si conosceva l’utilità del cavallo e della sua forza, comprese subito che il nuovo albero sarebbe stato, per l’intera umanità, più prezioso di un bel cavallo.

Atena vinse la gara, l’olivo crebbe in Grecia e si diffuse per il mondo intero. Numerosi e molto noti sono i riferimenti alla vite e al vino, all’olivo e all’olio fatti da Omero sia nell’Iliade che nell’Odissea. Lo scudo di Achille è decorato da “una vigna stracarica di grappoli, bella, d’oro: era impalata da cima a fondo da sostegni d’argento”. L’olivo, invece è legato allo stratagemma adottato da Penelope per assicurarsi che si trattasse veramente di Ulisse, tornato a casa dopo decenni: gli pone domande sul talamo nuziale, costituito da un bellissimo olivo, particolare conosciuto soltanto da loro due e dallo schiavo Actori.     

GLi ulivi millenari-2Nessuno può negare che percorrendo il nostro territorio si rimane basiti dai riflessi argentei dei raggi di sole che riverberano da migliaia di alberi ulivi che punteggiano, con continuità, le nostre strade, le nostre campagne, la nostra costa.  Spesso l’olivo, nella sua stupenda scultura naturale è sorretto da colonne di pietre: pietra e olivo incastrati nel nostro territorio in un legame di sangue e di sudore, sono i più antichi narratori della storia della civiltà.

Avvinti dal sibilare del vento del Sud e dallo stesso vento plasmati, piegati, lusingati e insieme abbrustoliti dal sole; l’ulivo, si è detto, transitò nel mediterraneo a bordo delle navi dei Fenici e approdò nella ferace terra di Puglia, mentre la pietra è il regalo dell’evoluzione naturale di una crosta terrestre troppo dura  che il tempo ha spezzato, ma non polverizzato.   Dall’incontro tra l’ulivo e la pietra, determinante e appassionato, come il seme che fertilizza un grembo, è stata partorita gran parte della nostra cultura, cioè: economia, lavoro, alimentazione, turismo (si pensi ai trulli di pietra dispersi in un oliveto) poesia, fino a forgiare il carattere di un popolo.

Basti pensare che alla fine dell’età del bronzo le pietre salentine più dure erano utilizzate per spremere le olive in grandi ceste intessute con rami intrecciati e che i Greci, capaci di sconvolgere boschi e colture dei territori conquistati, imposero la condanna a morte per chiunque avesse reciso o espiantato un olivo. Altari di questa preistorica storia d’amore, tra pietra e olive, sono oggi le vasche con la pietra molare, custodite nelle cattedrali dell’olio dette “trappeti” (che sono poi i frantoi)

La Puglia, e con essa il territorio brindisino, è terra di olio per eccellenza.    Al pari del vino è l’ospite d’onore su una bella tavola imbandita. L’olivo, dono degli dei agli uomini, nettare esaltato nel paganesimo; è tuttora usato,  caricato di simbolismi dal cristianesimo per la sua sacralità ed eccolo comparire nel battesimo, nella cresima, nell’unzione sacerdotale, nell’unzione degli infermi. Ma non solo questo, si narra che la Sacra Famiglia, in fuga verso l’Egitto, per sfuggire alla “strage degli innocenti” decretata dal Re Erode, trovasse  ospitalità e nascondiglio, ai soldati che li cercavano, nell’incavo di un maestoso olivo.

La pianta dell’olivo e il suo prodotto, l’olio, sono stati osservati dagli occhi dei          poeti che, solitamente sono capaci di vedere al di là del ristretto orizzonte concesso ai nostri occhi di profani. Allora l’olio diviene motivo di ispirazioni importanti, così nell’ode “Alcyone”, il poeta Gabriele D’Annunzio fa apparentare questo mirabile prodotto della nostra terra con l’orcio, panciuto vaso di terra cotta con manico, destinato a contenere l’olio della nuova spremitura e chiama l’oliva “pacifera”, “tarda” e “silenziosa”.

Pianta pacifera, per la sua simbologia biblica, cristiana, ma anche per il ramoscello d’ulivo portatore di pace. Pianta tarda, per i lunghi anni (ulivi secolari, si dice) che questa (pianta) richiede prima di recar frutto e anche per il lungo tempo che intercorre tra la fioritura, ad aprile, e la piena maturazione del frutto, in autunno avanzato se non, addirittura, in inverno.

Turisti affascinati dagli ulivi secolariPianta silenziosa, perché come olio entra nel regno del silenzio. Il silenzio di un liquido che anche quando viene travasato, non produce alcun suono, e di per sé, tende sempre alla stasi. Silenzi misteriosi dati da rumori non percepibili da orecchie umane, come quello del pane che lievita nella madia. Quest’ultimo aspetto, il silenzio, è forse quello più significativo; oggi l’uomo sembra che abbia perso per sempre la capacità di “ascoltare” il silenzio, immerso com’è, dalla nascita alla morte, in un’incessante gara tra i rumori che propongono una condizione di vita intollerabile.

Direttamente collegati a olive e olio sono proprio i frantoi con le loro   macchine di pietra; nella nostra città di Brindisi se ne trovavano un certo numero in via Appia, ma anche in via Provinciale San Vito, in via Schiavone e all’interno di alcune masserie ubicate nelle immediate adiacenze della Città. Il frantoio o “trappito” era quasi sempre posto in un sito ipogeo, vale a dire, al disotto del piano stradale. All’interno, le possenti macine di pietra, che, durante il lento trascorrere del tempo sono state via, via mosse da uomini, da animali e finalmente dalla forza motrice. Quintali di olive, ordinatamente ammassate, attendevano il loro turno di molitura.

Personaggi indispensabili nel frantoio erano “li fisckulari” , operai che con moto perpetuo riempivano di pasta di olive particolari cestini detti “fisckuli” da questi, attraverso una potente pressione, distillava l’olio che veniva diretto in un’apposita cisterna, per farlo riposare. Una luce fioca, il vocio convulso degli addetti ai lavori, striscianti cigolii, insieme a sordi rumori facevano diventare irreale quel luogo.

Queste condizioni erano caratteristiche di un passato che appare lontano e oggi improponibile, ora è tutto meccanizzato, elettrico, computerizzato, operai e tecnici in camice bianco si dedicano con antica abnegazione, ma con moderni sistemi, a ricavare il benefico olio dalla pacifica, tarda e silente oliva. Rispetto a ieri, forse il gusto dell’olio buono non è cambiato, ma il prodotto nel suo insieme è meglio pubblicizzato ed ecco, allora (al pari del vinio), l’olio novello, una proposta gastronomica da gustare al volo, in quanto questo delicato ed ottimo condimento, nel giro di un paio di mesi, perde le sue peculiarità di olio appena spremuto.

Laudata e ancora “laudata sii” paciera oliva, per tutte le tue caratteristiche organolettiche anche se in quest’ultimo periodo, vieni pesantemente attaccata e distrutta dal virus della “Xylella fastidiosa”, per cui è indispensabile porvi subito rimedio, all’interno delle aree infette, con programmati interventi di seria ricerca e studio per sconfiggere il male. Non la crudele esemplificazione dell’abbattimento, capace di mutare i nostri feraci territori e la nostra vita. Mai! Come se non bastasse, l’olivo viene anche furtivamente espiantato dal suo habitat, colpa per cui gli antichi greci decretavano la morte; l’olivo che da sempre parla la nostra lingua e che osserva i nostri lunghi e lenti silenzi, viene inserito in terreni e climi non suoi, magari per abbellire solo una ricca e lussuosa villa. 

L’atavico olivo deve meritare più rispetto per tutte le sue qualità, non ultimo perché la faccia inferiore della sua foglia è d’un bianco argentato che rende pittoreschi i luoghi che ricopre; posti a noi brindisini, salentini e pugliesi ben noti, poiché si tratta delle nostre campagne, dei nostri luoghi antichi che la storia e la memoria esigono che siano tramandati alle giovani generazioni che oggi sempre più numerose e speranzose si avvicinano all’agricoltura, con la stessa rispettosa sacralità con cui gli alberi di olivo, le sue fronde e i suoi frutti furono trattati e rispettati da dei, greci, fenici, romani, japigi, pugliesi, salentini e brindisini.

  

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