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Fabiola, la ragazza che ha vissuto due volte

BRINDISI – C’è un prima e un dopo nelle vite di Fabiola Spalluto. Si, nelle vite, perché Fabiola è la ragazza che ha vissuto due volte. Era speciale prima, nella sua prima vita. Lo è ancor di più oggi, a un anno e mezzo dall’incidente in moto che l’ha costretta su una sedia a rotelle.

BRINDISI – C’è un prima e un dopo nelle vite di Fabiola Spalluto. Si, nelle vite, perché Fabiola è la ragazza che ha vissuto due volte. Era speciale prima, nella sua prima vita. Lo è ancor di più oggi, a sette mesi dall’incidente in moto che l’ha costretta su una sedia a rotelle. C’è la famiglia, ed ovviamente ci sono i figli Giulia e Matteo nelle due vite della 41enne Fabiola. Ma c’è soprattutto Ferruccio Zuccaro, dipendente dell’Aeronautica, che le sta accanto da 25 anni. Chi li conosce da tempo li ricorda come una delle coppie più belle di Brindisi. Oggi sono una coppia esemplare, di quelle unite “nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia”. E lei è fantastica quando sull’uscio della porta, dopo un’ora e mezza di intervista, tanti sorrisi e qualche lacrima, si raccomanda: «Scrivilo che mio marito è un uomo e un marito fantastico».

Era il 15 giugno 2013, Fabiola e Ferruccio erano a Roma con centinaia, migliaia di altri italiani folli per le Harley Davidson. Era il 110° anniversario della famosa casa produttrice di motociclette-mito. Andavano a ricevere la benedizione del Papa, ma un’auto e il destino hanno cambiato il corso della loro vita. Sono finiti fuori strada. Lui, con due vertebre rotte, “se l’è cavata” con una operazione e un mese di ospedale, ma ancora oggi porta il busto e non si è completamente ripreso. Lei ha avuto il polmone perforato, sette costole rotte, tibia e perone da operare, e soprattutto una lesione al midollo spinale: «Il casco mi è volato via, ma ho la testa dura».

Arriva in ospedale cosciente ma dopo l’operazione resta in coma farmacologico per una decina di giorni. «Quando mi sono svegliata il primo angelo che ho visto è stato mio fratello».

Fabiola è uscita dal San Camillo di Roma il 27 luglio, per andare in una struttura specializzata di Montecatone, dove è rimasta fino al 28 novembre, poi finalmente è tornata a casa.

La fisiatra che la visitò per la prima volta disse che non si sarebbe sbilanciata prima di tre mesi. Le gambe non di muovevano, allora. Oggi Fabiola mostra come le alza e le piega: «Riesco a camminare un po’ con i tetrapodi, ma sono sicura di poter fare di più». Tanto per capirci: i medici le hanno detto che aver raggiunto questi risultati in soli sei mesi di riabilitazione, è un miracolo. Ma la biondina magra e bella era una “Wonder Woman”, faceva body building, amava lo sport e la moto. Oggi ama lo sport (spera di iniziare a fare canottaggio, dopo aver provato il tennis in carrozzella), e non rinuncia all’amore per le moto: «Si, ci salirei su, senza alcun timore, anche domani, perché comunque non è stata colpa nostra...».

Oltre ad avere la “capo tosta”, Fabiola ha tanto coraggio. Quando il dottore le disse che potevano alleviarle il dolore ma doveva farsi una dolorosa puntura le costole, senza anestesia, non ci pensò due volte: «Non ti dico quanto ho sofferto, ma non ho gridato, non volevo dare ai medici questa soddisfazione».

Wonder Woman sorride, dà forza a chi le sta accanto, dispensa consigli su Facebook. Ma è umana e anche lei: «Ho conservato il sorriso, ma ho pianto e continuo a piangere, perché a volte penso di non poter più dare a chi mi sta accanto ciò che davo prima».

Cosa l’ha aiutata? I genitori, ovviamente, il marito, il fratello, i suoceri, i cognati, gli amici “harleysti” che la andavano a trovare in ospedale («sono venuti dal Belgio e da mezza Italia»), ma soprattutto uno sconosciuto divenuto popolare in tutta Italia, il carabiniere Giuseppe Giangrande, ferito davanti a Palazzo Chigi il 28 aprile 2013, suo compagno di sventura ad Imola: «Giuseppe mi ha dato la forza. Mi ha detto che era inutile guardare indietro, ma che dobbiamo guardare solo avanti e ricominciare una nuova vita, in cui magari apprezzi molto di più tutto ciò che hai».

Una nuova vita in cui Fabiola si ritrova due famiglie: «Quella di sangue, e quella costituita da tutti gli amici, i vecchi e i nuovi, che mi vengono a trovare, mi scrivono, mi vogliono vedere». Qualcuno le ha scritto «grazie perché mi dai la forza di andare avanti».

Lei la forza l’ha trovata soprattutto in se stessa, anche se crede in Dio: «Io credo, ho sempre creduto, anche se forse non sono più brava a pregare. Però credo che per guarire bisogna aiutarsi da soli. In tanti mi dicono che loro non ce l’avrebbero fatta, ma io credo che tutti ce la possono fare».

Soprattutto se hai accanto un Ferruccio: «Lui mi dà la forza, mi dice che sono bella. Ci siamo innamorati che io avevo 16 anni e lui 18, e abbiamo condiviso sempre tutto. Abbiamo sempre parlato tanto, del bene e del male, abbiamo anche litigato tanto. Oggi le coppie non sono così, magari, anziché parlarsi, chattano».

C’era una cosa che Fabiola chiedeva ogni tanto al Signore: «L’ho sempre pregato che, se doveva succedere qualcosa, speravo accadesse a me e non a lui. Perché io sono più forte. E il Signore mi ha ascoltata».

In questi mesi le hanno regalato tanti libri, uno più bello dell’altro, ma il più bello glielo ha consigliato il viceprimario dell’ospedale San Camillo che l’ha curata dopo l’incidente: “L’arte della gioia”, di Goliarda Sapienza. È la storia di una donna siciliana tosta. Come Fabiola.

(fotoservizio Gianni Di Campi)

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