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Cronaca

Il clan Bruno e la politica, dubbi irrisolti

BRINDISI – Mafia e politica. Pressioni e infiltrazioni, tanto prima quanto dopo le elezioni comunali e regionali del 2005. Per l’accusa, l’indagine (prima) e il processo (poi) battezzati con lo stesso nome della masseria dei fratelli Bruno, la tenuta “Canali”, sono stati la dimostrazione che la Sacra corona unita degli anni Duemila aveva mutato i propri sistemi di approvvigionamento di fondi per la sussistenza.

BRINDISI – Mafia e politica. Pressioni e infiltrazioni, tanto prima quanto dopo le elezioni comunali e regionali del 2005. Per l’accusa, l’indagine (prima) e il processo (poi) battezzati con lo stesso nome della masseria dei fratelli Bruno, la tenuta “Canali”, sono stati la dimostrazione che la Sacra corona unita degli anni Duemila aveva mutato i propri sistemi di approvvigionamento di fondi per la sussistenza.

C’era una sfilza di omissis nell’ordinanza che il 31 marzo del 2008 raggiunse 24 persone. Ci sono stati due processi chiusi in primo grado: quello che è stato celebrato con rito ordinario e ancor prima il giudizio abbreviato, scelto per lo più dagli imputati per droga. E un’inchiesta parallela, più volte menzionata dal capo della Direzione distrettuale Antimafia di Lecce, riguardante unicamente la commistione di affari criminali con la gestione della cosa pubblica a livello locale.

Secondo il teorema dell’accusa Andrea Bruno con il fratello Vincenzo e i “luogotenenti” Emanuele e Daniele Melechì aveva fiutato il business in cui investire. Si trattava all’epoca, dal 2005 in poi, di una vera e propria intuizione: era il vento che avrebbe portato soldi. Nelle energie alternative il “clan” aveva deciso di dirottare i propri sforzi, cercando appoggi in ambito politico.

Era un passaggio breve quello contenuto nel provvedimento che disponeva la custodia cautelare in carcere per i presunti (ora condannati) componenti di una frangia della nuova Scu. Solo alcuni  spezzoni di una conversazione telefonica in cui si parlava per l’appunto di pale eoliche e di voti.

L’ipotesi di reato, quella di “voto di scambio” non fu mai contestata. Si rimandò all’altro filone di accertamenti, che dovrebbe essere tuttora in corso, sebbene non ci siano stati riscontri eclatanti, né risultati effettivi, fino ad oggi. Per la Dda i Bruno, nel 2005, dalla loro base operativa nelle campagne tra Torre Santa Susanna e Mesagne, avevano imposto le proprie volontà. Invitando gli “amici” a esprimere preferenze elettorali, tanto durante le consultazioni comunali, quanto in quelle regionali (del 2005), da loro segnalate.

Se sia andata effettivamente così, non è stato accertato in tutto il corso del processo che si è appena concluso dinanzi al Tribunale di Brindisi. Si sa, però, che nel giugno del 2009 scattarono nuove perquisizioni, nell’ambito del blitz “Canali Money” nel corso del quale furono sottoposti a sequestro beni per 5 milioni di euro che per la difesa dei Bruno valevano molto meno. E nella masseria Pezza Viva che finì nel pacchetto di immobili e mezzi ai quali furono apposti i sigilli, furono rivenuti santini elettorali nonché uno strano elenco di nomi: tutti gli elettori torresi, dal primo all’ultimo, in ordine alfabetico.

Con gli omissis restano le incognite sull’effettiva opera di pilotaggio del consenso, sul reale “attivismo” dei Bruno anche in politica, circostanza che è sempre stata negata nel corso delle testimonianze rese al collegio giudicante. Rimane un velo d’incertezza anche sulle torri eoliche che, naturalmente, non sono mai state piazzate in contrada Canali nei suoli di famiglia che, insieme al nucleo centrale, non sono mai stati oggetto di sequestri antimafia perché frutto di eredità. E un punto interrogativo sull’inchiesta, quella forse più importante, più volte citata nelle relazioni annuali della Procura Antimafia, di cui si sono perse per ora le tracce.

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