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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca

Rame, 10 fermi nel blitz al Patri

BRINDISI – L’intermediazione del rame rubato è a Bari, e presumibilmente nelle mani di poche persone. Come Alfonso Loizzi, 53 anni, già arrestato il 5 novembre scorso in situazioni pressoché identiche a quelle dell’alba di ieri, quando la polizia ha chiuso il cerchio per la seconda volta in pochi mesi contro i razziatori di oro rosso che concentrano a Brindisi il frutto delle incursioni nei campi fotovoltaici, prima delle spedizioni periodiche nel capoluogo di regione. Un business tanto importante da far tornare Loizzi in persona a Brindisi anche ieri, per curare il ritiro di 17 quintali di cavi, buona parte già ripuliti delle guaine isolanti.

BRINDISI – L’intermediazione del rame rubato è a Bari, e presumibilmente nelle mani di poche persone. Come Alfonso Loizzi, 53 anni, già arrestato il 5 novembre scorso in situazioni pressoché identiche a quelle dell’alba di ieri, quando la polizia ha chiuso il cerchio per la seconda volta in pochi mesi contro i razziatori di oro rosso che concentrano a Brindisi il frutto delle incursioni nei campi fotovoltaici, prima delle spedizioni periodiche nel capoluogo di regione. Un business tanto importante da far tornare Loizzi in persona a Brindisi anche ieri, per curare il ritiro di 17 quintali di cavi, buona parte già ripuliti delle guaine isolanti.

Il 5 novembre il sequestro fu di 7 tonnellate di prezioso minerale, i fermati quattro (i brindisini Antonio Andriola di 45 anni, e Salvatore Colaci di 43 anni, ed i baresi Salvatore D’Astice di 43 anni e appunto  Alfonso Loizzi). Ma il traffico non si può fermare. Il mercato del rame usato non ha una quotazione ufficiale, ma tira. E sarà in crescita sino a quanto la domanda mondiale sul mercato ufficiale continuerà ad essere superiore all’offerta, come accade da circa 5 anni, a causa della grande difficoltà dei produttori a stare dietro alla richiesta (causa scioperi, come in Indonesia e Perù, o per la chiusura di alcune miniere in Cile a causa dell’ultimo sisma, con un taglio del 20 per cento della produzione).

Il rame perciò è diventato “oro rosso” e l’affare dell’integrazione del mercato del rame usato è nelle mani della malavita, che ha curato la crescita dell’industria dei furti. Dietro i dieci fermi avvenuti all’alba di ieri c’è tutto questo, una vera e propria filiera in cui i tentativi di monopolio da parte di alcuni gruppi sono ormai chiari agli investigatori. A Brindisi si può considerare un gruppo dominante – hanno spiegato il procuratore capo Marco Dinapoli e il vicequestore Francesco Barnaba, capo della Squadra mobile – i Colaci di via Benvenuto Cellini. C’era uno di loro tra i fermati del 5 novembre 2011, ce ne sono tre nell’ultima operazione: Michele di  72 anni, Antonio di 43 anni, e Michele Angelo di 21. Poi manette anche per Donato e Vincenzo Carlucci di 28 e 48 anni, figlio e genitore; per Antonio Iaia di 22 anni e Francesco Pisanò di 50 anni, che chiudono la pattuglia dei fermati brindisini.

Tra i baresi, oltre ad Alfonso Loizzi, ci sono il figlio Michele e Agostino Navarra. Erano arrivati con un loro autocarro con il pianale di carico scoperto, e nella stazione di servizio Erg, poco prima dello svincolo che conduce dalla circonvallazione di Brindisi alla superstrada per Taranto, hanno trovato ad attenderli alcuni del gruppo locale, ai quali hanno consegnato il camion da caricare per evitare di rimetterci le penne se le cose fossero andate male, e sono rimasti nell’area del distributore. Loizzi non poteva sapere che tutto il movimento era sotto il controllo della Squadra mobile: dopo mesi di ricerche tra vari centri di raccolta di materiali metallici, i poliziotti una idea precisa su chi tirasse le fila dell’affare se la erano fatta, e le intercettazioni telefoniche hanno confermato tutto.

Anche due particolari non di secondo piano: il primo, è che i personaggi osservati dichiaravano disponibilità di armi, il secondo che si guadagnava troppo poco. Se la somma sequestrata successivamente ad Alfonso Loizzi, circa 2500 euro, era il salario – come pensa la polizia – per i Colaci e gli altri, per la fornitura di 17 quintali di rame, non ci sarebbe stato di che scialare, e la proporzione con i rischi non regge. Riguardo le armi, invece – ha spiegato il sostituto commissario Domenico Conte – la consapevolezza che i razziatori di rame potessero essere armati ha indotto la polizia all’inseguimento di due fuggiaschi ad utilizzare il potere intimidatorio delle armi, esplodendo due colpi in aria.

Proprio gli spari che attorno alle 5 del mattino ha svegliato un po’ di persone nei quartieri Bozzano, S. Angelo e Commenda, separati dal letto del Canale Patri. Qui, sulla sponda destra, si trova una bassa costruzione rurale, la masseria Colaci, trasformata base di raccolta e trattamento dei cavi di rame rubati. Qui la polizia ha colto di sorpresa i sette brindisini mentre caricavano il camion di Loizzi, e qui ha trovato una artigianale ma funzionale macchina pelafili per eliminare le guaine degli stessi cavi. Qui, tra già caricati sul pianale e ancora in terra, c’erano 17 quintali di metallo prezioso da inviare a Bari.

Due della banda hanno cercato di filarsela (Vincenzo Carlucci e Michelangelo Colaci) sfondando il vetro di una finestra e lanciandosi fuori di corsa, ma non sono andati molto lontano, fermandosi al fragore dei colpi di pistola. Subito dopo, prima che il pm decidesse di procedere con fermi di polizia giudiziaria, il personale diretto dal sostituto commissario Conte e dagli ispettori Carlino e Camassa, ha eseguito numerose perquisizioni domiciliari alla ricerca anche delle armi, ma senza esiti tranne 7 grammi di cocaina rinvenuti nella masseria, ma con responsabilità del possesso accollata a tutti i presenti.

Ora si dovrà attendere il ciclo delle udienze di convalida dei fermi, e l’eventuale successiva emissione di ordinanze da parte del giudice delle indagini preliminari. Nel provvedimento di fermo è ipotizzata la circostanza di reato dell’associazione per delinquere. Gli interrogatori comunque si dovrebbero svolgere entro le 15 di domani. Amilcare Tana difende Antonio Colaci, gli altri due della famiglia sono difesi dall'avvocato Caracciolo, mentre Andrea D'Agostino difende Donato Carlucci.

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