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Martedì, 30 Aprile 2024
Cronaca

Inchiesta su crediti di imposta fittizi: restituiti 432mila euro a un commercialista

Il riesame annulla il decreto di sequestro a carico di un professionista brindisino. Indagate altre quattro persone, fra cui il titolare di una società cooperativa con sede a Brindisi, per un presunto giro di false fatture

BRINDISI – Il tribunale del riesame di Brindisi ha disposto il dissequestro di somme di denaro per un importo totale pari a circa 432mila euro nei confronti di un commercialista brindisino coinvolto in una inchiesta su un presunto giro di fatture false. Al centro dell'indagine c'è una società cooperativa con sede a Brindisi, presso lo studio dello stesso commercialista. 

Sono complessivamente cinque (inclusi il commercialista e il rappresentante legale della cooperativa) le persone sottoposte a indagine che nei giorni scorsi sono state raggiunte da un decreto di sequestro a firma del gip del tribunale di Brindisi, Vilma Gilli, su richiesta della Procura di Brindisi. Le indagini sono state condotte dai militari della Guardia di finanza di Brindisi.

Il commercialista è l’unico indagato residente a Brindisi. In due, fra cui il titolare della società, sono della provincia di Milano. Poi vi sono un uomo residente nel Napoletano e una donna che risiede in provincia di Roma.

Le accuse

L’indagine è partita nel settembre 2022, con una verifica fiscale avviata nei confronti della cooperativa, sulla scorta di un precedente accertamento effettuato dalle fiamme gialle di Piacenza nei confronti di una Srls che avrebbe emesso fatture per operazioni inesistenti all’indirizzo proprio della società cooperativa brindisina, fra il 2018 e il 2019. 

Stando al teorema accusatorio, la società nel 2022 avrebbe beneficiato illegittimamente (in compensazione orizzontale) di un credito di imposta pari a quasi 300mila euro riferito all’anno di imposta 2020 e a 76,6mila euro per l’anno di imposta 2021, per investimento e sviluppo nelle aree del mezzogiorno. Inoltre, sempre nel 2022, avrebbe proceduto alla compensazione di altro credito di imposta per un importo totale di oltre 133mila euro.

Ma da quanto accertato dagli inquirenti la società non avrebbe potuto applicare tale compensazione, in quanto non era dotata di una struttura produttiva operante nel Mezzogiorno, se si considera che l’unico luogo di esercizio, da visura camerale, si troverebbe in provincia di Milano. Riguardo allo svolgimento dell’attività di ricerca e sviluppo, la “Guardia di finanza – si legge nell’ordinanza del Riesame – ha evidenziato che la descrizione del progetto era molto generica ed inoltre, benché i relativi costi fossero stati certificati, la società non ha mai esibito la documentazione comprovante gli effettivi esborsi di denaro”.

Il commercialista brindisino risponde di un unico capo di imputazione insieme ad altre 3 persone. Il professionista, in particolare, avrebbe "compilato e trasmesso all’Agenzia delle entrate i modelli F24 riportanti fittizi crediti di imposta sulla base delle indicazioni fornite da un’altra indagata”.  Il pm ha quindi chiesto e ottenuto il sequestro preventivo, ai fini della confisca, di somme di denaro a carico di tutti gli indagati. 

Il ricorso

Il commercialista, difeso dall’avvocato Riccardo Mele, ha impugnato l’ordinanza del gip per quattro motivi: assenza di motivazione in ordine agli indizi a suo carico; assenza dell’elemento oggettivo, considerato che il commercialista “si era limitato a compilare i moduli F24 necessari per la compensazione solo dietro indicazioni dei dipendenti della società e solo dopo aver ricevuto tutta la documentazione necessaria a superare le perplessità che al riguardo aveva avanzato lo stesso commercialista”; mancanza dell’elemento oggettivo; erronea contestazione della compensazione dei crediti inesistenti. 

Le motivazioni del dissequestro

Ebbene il collegio giudicante del tribunale del riesame presieduto da Maurizio Saso ritiene che siano fondate le censure della difesa. Il commercialista “si è semplicemente limitato – si legge nel provvedimento di dissequestro – a compiere un’operazione materiale, consistente nell’inserire nel modello F24 i dati a lui indicati dalla società, per la compensazione dei crediti in rassegna e dunque, contrariamente a quanto sostenuto dal pm, egli ignorava e men che meno era tenuto a cogliere la fumosità della documentazione comprovante, in termini apparenti, l’avvenuto svolgimento delle attività di ricerca e sviluppo”.

Il giudice del riesame rimarca inoltre che il commercialista è indagato “per la sua qualità di commercialista – tenutario delle scritture contabili, per cui non può affatto sostenersi che da tale ruolo discendesse a suo carico l’obbligo di scrutinare la liceità dei contratti e degli altri documenti a lui forniti dalla società per comprovare la possibilità di procedere alla compensazione”. Insomma secondo il riesame non vi sono elementi da cui si possa dedurre che l’indagato fosse a conoscenza o avrebbe dovuto esserlo delle presunte operazioni fittizie contestate alla società e non è stato dimostrato che fosse coinvolto in alcuna di esse.

Anche in sede di riesame il pm ha continuato a sostenere l’ipotesi accusatoria, chiedendo il rigetto del ricorso. Ma il giudice ha ravvisato l’insussistenza “del fumus commissi delicti”, con consequenziale annullamento del decreto del gip e restituzione di quanto sequestrato. 


 

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