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Cronaca

"La Puglia si guardi dalla 'ndrangheta"

Se la ‘ndrangheta è una holding, della Scu non restano che le briciole. La Puglia, oggi, con la sua ricchezza turistica potrebbe fare gola alla multinazionale calabrese dei traffici illeciti.I destini della punta e del tacco d’Italia sono legati a filo doppio dai primi anni Ottanta, e i rapporti di buon vicinato tra ‘ndrine e gruppi della Sacra corona unita, sono ritornati di attualità. C’è un magistrato che conosce bene entrambe le facce della medaglia. E’ Leonardo Leone de Castris, oggi capo della procura di Rossano Calabro, ieri pm antimafia a Brindisi, territorio che a fatica si è scrollato di dosso il marchio di culla della Scu. E se ciò è stato possibile, è perché con maxi operazioni come lo fu Mediana, si riuscì a fare pulizia.

Se la ‘ndrangheta è una holding, della Scu non restano che le briciole. La Puglia, oggi, con la sua ricchezza turistica potrebbe fare gola alla multinazionale calabrese dei traffici illeciti. I destini della punta e del tacco d’Italia sono legati a filo doppio dai primi anni Ottanta, e i rapporti di buon vicinato tra ‘ndrine e gruppi della Sacra corona unita, sono ritornati di attualità. C’è un magistrato che conosce bene entrambe le facce della medaglia. E’ Leonardo Leone de Castris, oggi capo della procura di Rossano Calabro, ieri pm antimafia a Brindisi, territorio che a fatica si è scrollato di dosso il marchio di culla della Scu. E se ciò è stato possibile, è perché con maxi operazioni come lo fu Mediana, si riuscì a fare pulizia.

Procuratore, nei giorni scorsi due distinte operazioni scaturite da inchieste sulla ‘ndrangheta hanno coinvolto dieci soggetti pugliesi, tutti del Brindisino, alcuni dei quali vicini alla Scu.

Non è una novità. Ci sono diverse sentenze passate in giudicato che attestano che la Sacra corona unita pugliese fu fondata, la datazione è incerta ma pare fosse il 1982, dal mesagnese Pino Rogoli che ricevette proprio da uno dei capi della ‘ndrangheta, Umberto Bellocco di Rosarno, la “dote”, una sorta di autorizzazione a dare avvio a una nuova organizzazione criminale. Avrebbe potuto conferire i gradi, stabilirne l’assetto. Fu un momento di svolta. Ma fu Rogoli a dover chiedere il permesso.

Il rapporto è quindi subordinato. Di derivazione prima, poi di dipendenza.

E’ nato così. Poi nel tempo si è sviluppato in forme diverse. Ci sono state evoluzioni e involuzioni. Le ‘ndrine vendevano la droga in Puglia e lo facevano dialogando con singoli gruppi organizzati. Anche la Scu, in alcuni periodi, ha rifornito la Calabria delle sigarette del contrabbando. La Puglia acquistava eroina ma vendeva, ad esempio, la marijuana. Sono equilibri regolati dal profitto.

Soltanto?

Anche dalla vicinanza geografica, dalla facilità per i calabresi di raggiungere Taranto e poi il Salento. Ci si arriva in poche ore, la struttura delle ‘ndrine consente a ogni singola famiglia di gestirsi i propri interlocutori senza dover chiedere il permesso agli altri. La storia delle due organizzazioni vanta numerosi punti di contatto, non lo dico io, lo dicono i processi.

Un esempio?

Vado a memoria. Ricordo che in uno dei primi processi alla Scu emerse che Mario Luceri, brindisino, andava a comprare la droga a San Luca, nel Reggino, e aveva rapporti con la famiglia Versaci. Poi c’era Carlo Cantanna che invece ebbe rapporti con personaggi di Palmi. Erano legami imposti dalla convenienza commerciale degli scambi di droga. A Brindisi c’è il porto. A Gioia Tauro anche. E anche questo è un dettaglio che non va trascurato.

Poi, dopo l’operazione Primavera, tutto è cambiato. E’ mutata la geografica politica della mafia nel Mezzogiorno.

E’ stato un duro colpo per la Sacra corona unita che si era specializzata nel contrabbando di sigarette. A quel punto la malavita non sapeva più dove investire. Era stata spiazzata, era disorientata perché in Puglia aveva perso la sua principale fonte di approvvigionamento: l’introduzione in Italia di tabacchi lavorati esteri. Ma non bisogna santificare solo l’operazione Primavera.

E perché mai?

Perché ci sono altri connotati specifici della Scu che non sono stati in grado di resistere alla lotta antimafia che è stata ingaggiata e portata avanti con convinzione. Per prima cosa il sostrato culturale che determina quindi la forza del contrasto. Se il nemico è fragile, lo si combatte con più efficacia. In Puglia non c’era una antica tradizione associativa. Quindi, come conseguenza, il pentitismo ha fatto implodere la Sacra corona unita. Ci sono stati e ci sono ancora, importanti collaboratori di giustizia: Vito Di Emidio, Massimo D’Amico, Ercole Penna, oggi. Quaggiù hanno paura, non sopportano il carcere duro. Alla fine cedono e parlano. Ma c’è anche qualche episodio di redenzione autocritica. Di presa di distanza dovuta a una riflessione morale. C’è l’esempio di Giuseppe Leo, che ha cambiato vita e si è messo a studiare medicina.

Costringendo chi resta dei “vecchi” e anche le nuove leve a cambiare strategia. E settore.

La droga resta sempre principale fonte di ricchezza per tutte le organizzazioni di stampo mafioso. Poi ci sono le estorsioni. Ma la capacità di sopravvivenza della ‘ndrangheta, la sua forza espansiva, è data dalla capacità di penetrazione nelle istituzioni, nella pubblica amministrazione, nella politica. Ha bisogno di reinvestire i propri capitali e lo fa infiltrandosi negli appalti, nei luoghi in cui si governa la cosa pubblica. E dal consenso che genera. La popolazione riconosce l’antistato e vi fa riferimento, anche per le problematiche più banali. La Scu non è mai riuscita a fare ingresso nelle stanze dei bottoni. E poi qui da noi, gli affiliati, i soggetti che ne fanno parte, sono relegati ai margini, sono reietti, non godono di alcun riconoscimento sociale.

Eppure, di recente, due inchieste hanno cercato di svelare presunti contatti tra i gruppi organizzati brindisini e gli enti locali. E’ accaduto a Torre Santa Susanna, con i fratelli Bruno, quando si parlò di voto di scambio. A Brindisi con i Brandi, un’inchiesta in cui fu ipotizzato anche il concorso esterno di un consigliere.

Mi pare, però, che al termine del primo grado di giudizio il consigliere fu assolto. Sono rapporti fragili, liaison che non si è mai riusciti a provare.

Quindi della Scu non resta nulla, oggi?

Manco da Brindisi ormai da più di quattro anni. Da osservatore esterno, però, mi pare che le cose siano cambiate. Ci sono gruppi attivi a Mesagne, Cellino, Latiano, ma la Scu ha perso peso. La situazione è peggiorata quando gli albanesi si sono affacciati sulle nostre coste per immettere sul mercato notevoli quantitativi di stupefacente a buon prezzo. Era una imposizione rispetto alla quale poco si poteva fare. Contrapporsi sarebbe stato impossibile, oltre che poco vantaggioso.

Il passato ritorna.

Può essere. Non abbiamo elementi per dirlo, ma tutto può essere. Sappiamo che la ‘ndrangheta non investe in loco. Se lo fa, ciò accade nelle terre meno povere della Calabria. Come dalle nostre parti, nel Cosentino, dove è stata scoperta una truffa da 11 milioni di euro all’Inps. Nelle liste dei falsi braccianti agricoli abbiamo scoperto che c’erano personaggi vicini alle cosche. La Puglia può far gola, come la Lombardia. Perché sta crescendo nel settore turistico ed è al momento una terra di nessuno. Ci operano sparigliati gruppi che non hanno, attualmente, una solidità tale da poter contrastare invasioni di campo. Bisogna stare in guardia.

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