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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca

Fucilata in piazza prima dell'omicidio Carvone: processo d'appello in parte da rifare

La Corte di Cassazione annulla con rinvio la sentenza di secondo grado su un colpo di fucile esploso al rione Perrino e la detenzione di una pistola. Confermata solo una condanna

BRINDISI - E’ in parte da rifare il processo di appello sulla fucilata esplosa in una piazza del rione Perrino il pomeriggio del 9 settembre 2019, poche ore prima dell’omicidio di Giampiero Carvone, e sulla presunta detenzione di una pistola. La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio (ad altra sezione) la sentenza di secondo grado emessa a maggio 2023 dalla corte d’appello di Lecce, ad eccezione dei capi di imputazione contestati al 33enne Stefano Coluccello, limitatatmente all’episodio della fucilata. Gli altri imputati sono il 42enne Giuseppe Lonoce, il 36enne Alessandro Coluccello (fratello di Stefano) e il 25enne Giuseppe Sergio. Il collegio difensivo è composto dagli avvocati Daniela D’Amuri, Luca Leoci, Giuseppe Guastella e Gianvito Lillo.

Le condanne in appello

In appello sono state inflitte le seguenti condanne: Giuseppe Lonoce, quattro anni, cinque mesi e 20 giorni di reclusione (sei anni, 10 mesi e 20 giorni in primo grado); Stefano Coluccello, sei anni, cinque mesi e 20 giorni di reclusione (sette anni e 10 mesi in primo grado); Giuseppe Sergio, due anni di reclusione (5 anni, un mese e 20 giorni in primo grado); Alessandro Coluccello, due anni di reclusione (stessa pena inflitta anche in primo grado). Fra ottobre e dicembre 2019 furono emesse ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico degli stessi. 

L'omicidio di Carvone

Il procedimento scaturì dalle indagini sulla morte di Carvone, ucciso a colpi di pistola davanti alla sua abitazione al rione Perrino, la notte fra il 9 e il 10 settembre 2019. Per questo grave fatto di sangue si sta celebrando un processo a carico del 28enne Giuseppe Ferrarese, unico imputato del reato di omicidio. Carvone sarebbe stato ucciso “per aver riferito ad un uomo di spessore, assai temuto – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare emessa nel giugno 2022 a carico di Ferrarese - i nomi dei suoi complici nel furto (di un'auto, ndr)”, tra cui proprio Giuseppe Ferrarese. 

Il furto d'auto e l'accusa di tentata estorsione

L'auto in questione è una Lancia Delta in uso a Stefano Coluccello, al quale la macchina fu poi restituita ammaccata, a seguito di un incidente. Lonoce e Stefano Coluccello in primo grado furono condannati per tentata estorsione in quanto, secondo l’accusa sostenuta dal pm Raffaele Casto, avrebbero preteso una somma di denaro nei confronti di Piero Carvone, papà di Giampiero, a titolo di risarcimento dei danni subiti dalla Delta. In appello l’ipotesi di reato di tentata estorsione è stata riqualificata in esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed è stato dichiarato il non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di Coluccello, Lonoce e altri due imputati che rispondevano della stessa accusa. 

La fucilata  in piazza

Il procedimento resta ancora in piedi per l’episodio della fucilata e per la presunta detenzione di una pistola. Il colpo di fucile (arma mai ritrovata) fu esploso fra via Bradano e via Adige, alle spalle della chiesa dal Perrino, dove, seduti su una panchina, si trovavano Giuseppe Ferrarese e il 26enne C. M. I due, ritenuti appartenenti allo stesso gruppo di Giampiero Carvone, sarebbero stati minacciati di morte dopo la scoperta del furto della Lancia Delta.

La corte d'appello ha condannato Lonoce e Stefano Coluccello per questo episodio, mentre Giuseppe Sergio (appena 18enne all'epoca dei fatti) è stato assolto in modo definitivo. Ma la difesa contesta questa ricostruzione dei fatti, mettendo in dubbio l'attendibilità dei testimoni. Adesso, alla luce del pronunciamento della Cassazione, Lonoce dovrà essere nuovamente processato (in appello) per la presunta fucilata. Confermata invece la condanna (per questo specifico episodio) a quattro anni, cinque mesi e 20 e giorni a carico di Stefano Coluccello, che quel pomeriggio, alla guida della propria auto, fu fermato e condotto in questura da un equipaggio della polizia che transitava proprio nei pressi della piazza. 

La presunta pistola 

La corte d’appello dovrà riesaminare anche la vicenda riguardante la presunta detenzione di un’arma da fuoco: reato contestato ai fratelli Coluccello e a Sergio. Si tratta di una pistola (mai ritrovata) di cui, secondo l’accusa, gli indagati avrebbero parlato in una conversazione intercettata nell’abitazione di Stefano Coluccello, che avrebbe ricoperto il ruolo di “istigatore", perché dopo aver custodito l'arma, anche per conto degli altri, nella propria abitazione dove era in regime di arresi domiciliari, "la consegnava agli altri che ne avevano fatto richiesta”. Giuseppe Sergio e Alessandro Coluccello avrebbero invece portato la pistola in un luogo pubblico. 

Nelle motivazioni della sentenza di primo grado è riportato che i giudici (collegio presieduto da Genantonio Chiarelli), "dopo aver allenato l’orecchio" in Camera di consiglio, riescono a captare il “sussurrio” della parola pistola. Ma gli avvocati rilevano come su tre periti che hanno ascoltato la registrazione, incluso quello del tribunale, nessuno abbia attestato la pronuncia del termine “pistola”. 

Le motivazioni della sentenza daranno depositate nei prossimi mesi. 

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