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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

"Vittorio, prepara 20mila euro"

BRINDISI – Ogni episodio criminoso ha una sua ragione d’essere, inquadrato in un vero e proprio sistema di approvvigionamento di denaro e di gestione del territorio riferibile, indubbiamente, alla Sacra corona unita. Se due autocarri venivano rubati all’interno dell’azienda c’era una ragione. Il giorno successivo qualcuno andava a presentare il conto: la Porsche doveva essere venduta all’acquirente a un prezzo di favore, diecimila euro più basso. Anche la presenza al ristorante, uno dei più conosciuti a Mesagne, la locanda dei Messapi, di un uomo del posto, Giuseppe Stranieri, era finalizzata a far cassa: un “prestito” di mille euro che in realtà altro non era che un’estorsione, ordinata per quanto detto da uno dei “capi”, Massimo Pasimeni, alias “piccolo dente”, poi rinnegata dallo stesso non senza un po’ di stizza.

BRINDISI – Ogni episodio criminoso ha una sua ragione d’essere, inquadrato in un vero e proprio sistema di approvvigionamento di denaro e di gestione del territorio riferibile, indubbiamente, alla Sacra corona unita. Se due autocarri venivano rubati all’interno dell’azienda c’era una ragione. Il giorno successivo qualcuno andava a presentare il conto: la Porsche doveva essere venduta all’acquirente a un prezzo di favore, diecimila euro più basso. Anche la presenza al ristorante, uno dei più conosciuti a Mesagne, la Locanda dei Messapi, di un uomo del posto, Giuseppe Stranieri, era finalizzata a far cassa: un “prestito” di mille euro che in realtà altro non era che un’estorsione, ordinata per quanto detto da uno dei “capi”, Massimo Pasimeni, alias “piccolo dente”, poi rinnegata dallo stesso non senza un po’ di stizza.

Le dichiarazioni del pentito Ercole Penna che in più tranche ha consentito agli investigatori di delineare un quadro preciso degli equilibri delinquenziali del Brindisino, con particolare riferimento al territorio mesagnese, già culla della Scu, hanno permesso di chiudere con 16 arresti un altro importante troncone di indagine, dopo quel “Last Minute” del dicembre del 2010 che servì a dare il primo colpo all’associazione per delinquere di stampo mafioso capeggiata da Pasimeni, Vitale e Vicientino. A un anno e mezzo di distanza la conferma: la gran parte degli episodi violenti che si sono verificati in quella zona dal 2005 in poi, e in particolare proprio nel 2010 e nel 2011, non sono da considerarsi “casuali”, non vanno letti in ordine sparso ma secondo una interpretazione organica. Erano il frutto del potenziale “intimidatorio” che consentiva alla frangia mesagnese della Sacra corona di comandare.

Dell’omicidio di Giancarlo Salati, alias Menzarecchia, si è straparlato. Di altri omicidi pure: è così che Ercole Penna ha esordito come collaboratore di giustizia, nel 9 novembre 2010, poco più di un mese dopo l’operazione Calypso, quando fu catturato dai Ros dei carabinieri. Fu la moglie di “Lino il biondo” a recarsi in commissariato, a Mesagne, comunicando l’intenzione del marito di passare il guado e vuotare il sacco, strapieno di dettagli importanti per gli investigatori. Si cominciò allora, e subito dopo scattarono i primi arresti eseguiti dagli agenti mesagnesi con la Squadra Mobile di Brindisi. Ieri mattina la seconda puntata (ce ne sono state delle altre, ma il blitz di ieri è senz’altro il più importante dopo quello d’esordio).

Si è accertato, anche grazie alle perquisizioni e ai riscontri effettuati sul territorio che incendi, furti, estorsioni e anche in un caso pressioni per l’assunzione di alcune persone non erano che il pacchetto di affari gestito dalla Scu, dentro e fuori la galera. Per sostenere i propri affiliati, sia quelli liberi che quelli detenuti. Ma sostanzialmente per rafforzare il proprio dominio. Le indagini condotte dalla Dda di Lecce, che hanno poi portato alla emissione di sedici ordinanze di custodia cautelare a firma del gip Maritati sono descritte, nel dettaglio, in una quarantina di pagine. C’è il profilo dei componenti del sodalizio di stampo mafioso e l’elenco dei misfatti.

Si parte dal 2008, quando Giuseppe Stranieri andò a trovare Carmelo De Nitto, il proprietario della Locanda dei Messapi, pieno centro di Mesagne, e lo costrinse a versargli la somma di mille euro, corrisposta in due rate e chiesta sotto forma di prestito. Il ristoratore “lavorava” bene, ma a un certo punto fu costretto a chiedere al visitatore di non insistere oltre, perché non avrebbe potuto permettersi di più. Poi le richieste presentate da Francesco Gravina, detto Chicco Pizzaleo, e dall’omonimo nipote soprannominato “Gabibbo” nei confronti dell’imprenditore Giancarlo Mingolla, titolare della ditta che stava eseguendo i lavori per la realizzazione della circonvallazione di Mesagne: mille euro, la prima volta. Poi ancora altri mille euro. Senza contare i danneggiamenti e i furti di gasolio avvenuti all’interno del cantiere.

Quindi la storia dei due autocarri: le istruzioni le diede Ercole Penna a Vincenzo Accolli e al proprietario di un’autocarrozzeria Massimo Taurisiano Pulli. Lì furono rinchiusi dei cani da guardia e ci si poté appropriare di due autocarri di proprietà di Fernando De Michele, che erano parcheggiati proprio lì. Era l’11 agosto 2010, allo stesso De Michele fu poi imposto, in cambio della restituzione dei due camion, di abbassare il presso della Porsche da vendere a Vincenzo Solazzo, anche questi indagato. A Ercole Penna e Vito Stano viene attribuita la richiesta, con minaccia, formulata all’imprenditore Giuseppe Daloisio, legale rappresentante dell’omonima ditta che stava eseguendo i lavori di sistemazione del canale Galina – Capece, di versare al sodalizio parte dell’incasso e di servirsi di fornitori indicati da Stano. Guai se non fosse stato così, l’organizzazione criminale si sarebbe vendicata. In caso contrario, a testimonianza dell’esistenza del vincolo associativo di cui al famigerato 416bis, l’imprenditore avrebbe potuto godere della massima protezione degli “amici”.

Nel gennaio 2011 fu la volta di Luigi Oreste Devicienti: costretto a versare la somma di 20mila euro. Ci pensarono Tobia Parisi (all’epoca latitante) e Ivan Carriero. E il primo dei due impugnava una pistola. Il 27 luglio 2011 il portone dell’ingresso dell’abitazione di Devicienti fu incendiato, un danno provocato a scopo ritorsivo. L’episodio è stato contestato a Marcello Romano e Danilo Calò, quali esecutori materiali. C’è quindi la lettera indirizzata a Vittorio Pasquale Carriero: “Caro Vittorio, so che stai lavorando bene e quindi ti devi regolarizzare, prepara ventimila euro, sai tu dove devi andare mi raccomando perché se no ai finito di lavorare. E ti dico di credermi, non scherzo”. Anche in questo caso all’imprenditore mesagnese venivano chiesti 20mila euro per la Scu di Penna e Pasimeni, e secondo l’accusa alla buona riuscita di questa singola estorsione collaborarono anche Vito Stano, e i  due Gravina (Gabibbo e Chicco Pizzaleo).

Il 29 gennaio 2010 fu posizionata una tanica di benzina all’ingresso dell’azienda Taf Pneumatici, se ne occupò Giovanni Longo, in concorso con un’altra persona non identificata. Nell’ottobre 2010 il titolare di tre discount Eurospin, Cosimo Scalera, fu obbligato a versare una somma pari a tremila euro. Poi ci sono le armi, la mitraglietta Skorpion di Penna, i fucili e gli spari esplosi contro gli esercizi commerciali, uno fra tutti la macelleria di Pasquale Greco (10 ottobre 2020) unicamente allo scopo di spargere il terrore. Di far sentire la propria presenza, di imporre la propria legge. Tutto spiegato. E se non tutto almeno una buona parte di recente storia criminale ha una sua lettura precisa, data dalla Dda di Lecce e condivisa dal giudice per le indagini preliminari che ha firmato il provvedimento di custodia cautelare in carcere per sedici, tra cui anche i pezzi da novanta (Piccolo Dente e Penna) che “dentro” ci sono già, seppure mantengono diverse posizioni nei confronti della legge. Penna collaboratore, Pasimeni no.

Dalle dichiarazioni di “Lino u biondu” emergono particolari che fanno comprendere come la Scu, mai del tutto sconfitta sia nel tempo molto cambiata. Oggi si fanno affari con le estorsioni e con la droga (sul traffico di stupefacenti c’è un altro troncone di inchiesta, come testimoniano gli omissis dell’ordinanza di ieri), con il gioco d’azzardo e con le assunzioni. Ma, soprattutto, non si perde più tempo con i riti di affiliazione. Non servono più: “Da un po’ di tempo – si legge nelle dichiarazioni del pentito – evitiamo i rituali di affiliazione, per evitare che questo aspetto formale possa danneggiare gli imprenditori e tenere riservata la loro partecipazione al nostro clan”. Basta sostenere, liberamente, di “far parte” e rispettare le regole. Una “forma libera” che ha reso molto più agevole l’accesso e garantito a gente apparentemente insospettabile di farsi “molto meno carcere” degli esponenti storici. Fino al momento in cui anche questo meccanismo non è stato scoperto. Anzi, rivelato.

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