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Domenica, 28 Aprile 2024
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Gli "spietati inconsapevoli" del web: tre casi da manuale nel Brindisino

Le "ladre e rapitrici di bambini", il barbiere-pusher e il signore che corre in mutande: una bufala e mezzo e un fatto realmente accaduto. I social network mostrano il volto credulone e sadico

Due donne, probabilmente di etnia rom, vengono fotografate, sbattute sui social e accusate di essere ladre e rapitrici di bambini. Un barbiere che esercita in un comune del Brindisino sarebbe stato arrestato con l'accusa di smerciare droga. Un uomo, in evidente stato confusionale, corre svestito per le vie di una città. Cosa hanno in comune questi tre "fatti"? Le virgolette non sono messe a caso: il primo episodio è inventato di sana pianta; il secondo si riferisce a un arresto eseguito a Genova, ma viene "sbattuto in prima pagina" un giovane del Brindisino; il terzo è un fatto realmente accaduto, ma trattato sui social in maniera indegna. Rispondendo alla domanda: hanno in comune proprio il rapporto di ognuno con l'informazione e con la sua evoluzione ai tempi delle reti sociali virtuali.

Troppa informazione, troppe bufale

Il giornalista Emilio Mola, originario di Oria, nel suo "Ripartiamo dalle basi" (Rizzoli, 2022), già nell'introduzione mette nero su bianco che "siamo bombardati da informazioni in ogni momento, in ogni luogo, come mai accaduto prima. E se una volta, almeno, c'erano professionisti del settore a fungere da filtro tra notizia e fruitore ora, con l'avvento dei social, il lettore è di fatto abbandonato a se stesso". Non solo il lettore: capita anche a cronisti di lungo corso e a storiche testate di cadere in trappola. Gli iscritti all'Ordine dei Giornalisti devono tenere corsi d'aggiornamento, anche online. Uno di questi è proprio un "rimedio" alle bufale - o fake news, che dir si voglia - E' una lezione tenuta da David Puente, giornalista e vice-direttore di Open, nella quale spiega come evitare di "cadere in trappola". Per la chiarezza e l'utilità, andrebbe fatta vedere a ogni singolo utente social. In questo modo forse si avrebbero meno creduloni inviperiti che postando e commentando rischiano di incappare nelle maglie del codice penale o di dover affrontare un processo di risarcimento danni. Il web non è una zona franca, le leggi valgono anche lì.

Due donne incensurate accusate di nefandezze

Le fake news non sono nate col web o con i social, ovviamente. Un fulgido esempio è la leggenda nera degli ebrei che rapiscono i bambini. Ma non sono gli zingari quelli? No. Nel Medioevo erano gli ebrei i protagonisti involontari di queste bufale. Poi, l'ingrato ruolo è passato all'etnia rom, con l'avvento dell'era moderna. E la diceria dura fino a oggi, nonostante in Italia sia stata pubblicata una ricerca, nel 2008, che dimostrava che nessun caso di bambini rapiti da zingari sia mai stato accertato. Una fake news quasi millenaria e dura a morire. Ne sanno qualcosa due donne, forse di etnia rom - fotografate e date in pasto al web, con post scritti in una lingua che nelle intenzioni degli scriventi doveva essere l'italiano -, accusate non solo di commettere furti in appartamento, ma anche di aver tentato di rapire un bambino. Ovviamente, era tutto falso. Le due donne, come raccontato in questo articolo, erano addirittura incensurate. Ora, da tempo i giornali, online e cartacei, non mostrano più le foto degli arrestati, per una serie di motivi. Invece un utente brindisino si sente in diritto di farlo e può accusare due ignare donne, in italiano malcerto, di reati infamanti. Poi, in un secondo articolo, l'avvocato Antonio Andrisano ha spiegato cosa rischiano sul fronte penale questi sgangherati giustizieri del web. Sono loro, infatti, non le due donne, a poter finire sul banco degli imputati.

La mezza bufala del barbiere pusher

Da una "notizia" completamente falsa a una bufala a metà. Nel primo caso, BrindisiReport ha raccontato la gogna mediatica subita dalle due malcapitate. La notizia non è il fantomatico tentato rapimento di un bambino. Il "cattivo" dell'articolo è il commentatore social che si beve la panzana e la rilancia, come visto sopra. In un secondo caso - quello della mezza bufala, che non ha a che fare con il noto latticino - la notizia c'è, ma non in un comune del Brindisino. E il protagonista non è un barbiere locale, ma uno ligure, di Genova, che è stato arrestato per reati in materia di droga: "bamba e capelli" al posto di barba e capelli. Da qualche giorno sta girando sulle chat di una nota applicazione di messaggistica istantanea una schermata (in realtà, un fotomontaggio), con tanto di logo di BrindisiReport e sigla di una inconsapevole collega, in cui la notizia ligure viene ambientata nel Brindisino. C'è anche la foto del barbiere locale, che sarebbe stato arrestato per questi fatti. L'uomo è in realtà in giro tranquillamente, non ha commesso alcunché. Lo stesso non si può dire degli autori della bufala a metà: hanno danneggiato - magari solo per goliardia - un lavoratore e la stessa testata utilizzata per questo fotomontaggio. Anche qui, un occhio accorto avrebbe potuto notare la stranezza della foto dell'uomo "sparata" in apertura. Non si usa da anni. Eppure, complice il nome noto di BrindisiReport, alcuni hanno pensato a una notizia relativa a fatti realmente accaduti qui. 

Le risate nei confronti di chi sta male

Infine, torna al centro la cattiveria degli "spietati inconsapevoli" del web. Una pagina social di Ostuni posta il video in cui un uomo, poco vestito, corre per una nota arteria della città. Il post è accompagnato da icone che indicano risate. I commenti si sprecano, sono ironici, arrabbiati, irriverenti. Ma da ridere c'è ben poco. Si tratta di un uomo in evidente stato confusionale. Anche in questo caso viene ripreso a sua insaputa e dato in pasto ai leoni da tastiera. Non tutti i commenti sono implacabili, per fortuna: alcuni fanno notare che no, non c'è proprio niente da ridere. E forse i gestori di questa pagina dovrebbero fare mea culpa per aver diffuso il video. BrindisiReport ha raccontato il fatto in questo articolo. E anche altre testate hanno fatto lo stesso. Non è una bufala, ma se qualcuno che non ha gli strumenti adatti per comprendere ciò che accade pubblica un video così, il risultato è davanti agli occhi di tutti: un uomo che ha bisogno di aiuto messo alla gogna. Forse anche i gestori delle pagine social, gli "influencer" (qualunque cosa voglia dire questo termine) e i semplici utenti dovrebbero non solo seguire la lezione di Puente, ma anche fare un corso di deontologia. Perché questi tre casi citati, così come narrati sui social, hanno in comune un fatto: sono materia da codice penale. 

La notizia va raccontata dagli addetti ai lavori

E' bene fare un'altra considerazione, seppur ovvia. Se un tizio si imbatte in un fatto strano per strada e lo riprende col cellulare, non è automaticamente un giornalista: è un tizio col cellulare. Se un tizio si mette a fotografare tramonti e paesaggi o quello che vuole, non è automaticamente un fotografo. Se un tizio si imbatte sui social o altrove in qualche fatto o scritto sgangherato, anche se corredato da foto, non è un "cittadino informato". La verifica delle fonti è essenziale quando si racconta anche il fatto più banale. Ecco, quando si parla di informazione, la parola dovrebbe passare sempre ai professionisti. Non è una difesa d'ufficio della categoria, che tra l'altro non è immune da colpe (ma questo è un altro argomento da affrontare in separata sede). E' un dato di fatto. Se il lavandino perde e la casa si allaga, ci si rivolge a un idraulico. Vale nella quotidianità, perché non dovrebbe valere con l'informazione?

Il ruggito degli agnelli

Poi, anche sotto articoli verificati e straverificati spuntano i commenti dei leoni da tastiera. Figurarsi nei casi delle presunte rom e del signore che corre svestito, come hanno ruggito i leoni. Ma tanto. Sono tutti cattivi e feroci? Probabilmente no, nella vita reale alcuni saranno mansueti e belanti come docili agnellini. E magari se si trovassero di fronte a una situazione di disagio accorrerebbero in aiuto. O, perlomeno, eviterebbero di prendere in giro qualche sfortunato malcapitato. O di accusare qualcuno di reati odiosi e inventati. Questo, nella vita reale. I giornali, dal canto loro, devono evitare di "solleticare" gli istinti più beceri e trattare correttamente sia la notizia, che i protagonisti. E non sempre questo accade, va detto. Lo stesso Emilio Mola, nel suo libro, tratta di "fake news e complottismi". Rimanendo sulle prime, insiste sul concetto di "sensazionalismo": aumentano i click o i lettori o gli spettatori, ma l'informazione scade. E i placidi agnellini si sentono legittimati a trasformarsi in gagliardi e ruggenti leoni. Sempre a scapito di qualcuno.

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