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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca San Vito dei Normanni

Operazione "The Wolf": come il clan provava a sfidare i carabinieri di San Vito

Intanto, si sono tenuti i primi interrogatori di garanzia dopo gli arresti. Emergono altri dettagli: i membri del sodalizio provavano ad anticipare, invano, le mosse dei militari sanvitesi. Il presunto boss e il padre sono irreperibili

In molti hanno preferito avvalersi della facoltà di non rispondere, tranne due indagati. Sono cominciati oggi, giovedì 20 luglio 2023, gli interrogatori di garanzia nei confronti degli arrestati durante il blitz di martedì 18 luglio. Nell'occasione, i carabinieri della compagnia di San Vito Dei Normanni, guidati dal capitano Vito Sacchi e dal tenente Alberto Bruno, hanno eseguito 22 ordinanze di custodia cautelare, disposte dal gip del Tribunale di Lecce, Maria Francesca Mariano, su richiesta del pm della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, Carmen Ruggiero. L'indagine ha svelato dinamiche, affari e azioni di un presunto sodalizio della Scu, il clan "Lamendola - Cantanna", di stanza a San Vito Dei Normanni e in comuni limitrofi. Al momento, risultano irreperibili il presunto boss Gianluca Lamendola (34 anni, nato a Mesagne, residente a Brindisi) e suo padre Cosimo (51 anni, nato a Latiano, residente a Brindisi). Sono sfuggiti al blitz, le ricerche continuano.

Gli interrogatori davanti al gip

Sono rimasti in silenzio durante l'interrogatorio presso il carcere di Lecce, davanti al gip Mariano: Roberto Calò (40 anni, nato a Ostuni, residente a San Vito Dei Normanni); Adriano De Iaco (33 anni, nato a Mesagne, residente a San Vito Dei Normanni); Bryan Maggi (33 anni, di Brindisi); Giovanni Nigro (54 anni, di San Vito Dei Normanni); Francesco Turrisi (47 anni, nato a Ostuni, residente a San Vito Dei Normanni); Noel Vergine (35 anni, nato a Taranto, residente a San Vito Dei Normanni). Invece, Giuseppe Prete (49 anni, nato a Ostuni, residente a San Vito Dei Normanni) ha dichiarato di non essersi mai occupato di alcuna piantagione di marijuana, come da contestazioni. Anzi, ha spiegato che durante una perquisizione lui non aveva nella propria disponibilità neanche le chiavi di accesso. Anche Maurizio D'Apolito (46 anni, nato a Milano, residente a Torre Santa Susanna) ha scelto di spiegare la propria posizione riguardo un episodio.

La sfida con i carabinieri sanvitesi e "Lupo"

Intanto, emergono dagli atti giudiziari nuovi dettagli sul modus operandi del sodalizio di marca Sacra Corona. Il presunto boss Gianluca Lamendola e i suoi accoliti puntano al controllo del territorio, si fanno "cacciatori" dei rivali. Ma, come può accadere nella catena alimentare, i predatori diventano a loro volta prede. E provano a prendere le contromisure. Scorrendo i vari dialoghi tra gli indagati, colpisce la presenza di un predatore per antonomasia: Lupo, con la lettera maiuscola. Non a caso, l'operazione si chiama The Wolf. Alcuni indagati parlano di Lupo, dicendo di stare attenti. E Lupo è proprio il nome di battaglia, ai tempi della sua militanza presso il Ros, del tenente Alberto Bruno. Gianluca Lamendola sembra non darsi troppo pensiero dei rivali in contesti malavitosi, ma si preoccupa solo degli uomini della Benemerita. Non a caso, parlando con il suo braccio destro Adriano De Iaco, riferendosi al tenente di stanza a San Vito dice che "ha la guerra in testa", vuole cioè fare di tutto per fermare gli affari del sodalizio. I membri del clan provano più volte ad anticipare le mosse dei militari, conoscono anche le auto dei carabinieri in borghese, tentano di eludere cimici e altro. Addirittura, un indagato che abita vicino alla compagnia spia con un binocolo i movimenti dei militari. Servirà a poco, come visto.

L'ostentazione sui social network

Un altro dettaglio da non sottovalutare è l'ostentazione del potere, attraverso simbolismi e anche attraverso l'uso dei social network. Storicamente, la Sacra Corona ha mutuato codici e rituali dalla 'ndrangheta, grazie soprattutto all'azione del capobastone calabrese Umberto Bellocco nei confronti di un allora giovane Pino Rogoli. Ma i "modelli" cambiano col tempo. E le fonti di ispirazione sono le più variegate. In una conversazione intercettata tra Gianluca Lamendola e Adriano De Iaco, i due parlano della possibilità di inserire degli inserti dorati presso una stalla in legno, edificata all'ingresso della masseria di contrada Mascava, in agro di Brindisi. L'intento esplicito è di emulare i Casamonica, la famigerata famiglia sinti che opera nella Capitale. Celebre, tra l'altro, per l'amore verso tutto ciò che è kitsch e pacchiano. Un po' come degli inserti dorati su una stalla in legno, per l'appunto. Ma Lamendola ha attenzione anche nei confronti della 'ndrangheta: sul suo telefonino viene rinvenuto un video che riproduce scorci di Platì, un paese dell'Aspromonte caratterizzato da diffusa presenza criminale, e il santuario della Madonna di Polsi, divenuto un simbolo per i mammasantissima calabresi. Ma Lamendola non dimentica neanche il "capo dei capi" di Cosa Nostra, Totò Riina, celebrato in un video su Tik Tok. Chiosa il pm Ruggiero: "Come detto, il social network diveniva altesì uno strumento per gli indagati, attraverso il quale ostentare la vis intimidatoria della organizzazzione".

Gli altri interrogatori

Intanto, domani, venerdì 21 luglio, proseguono gli interrogatori di garanzia, quelli per rogatoria. Gli indagati sono difesi dai seguenti avvocati: Giuseppe Presicce, Giacomo Serio, Andrea D'Agostino, Giancarlo Camassa, Cinzia Cavallo, Michele Arcangelo Iaia, Mauro Durante, Vincenzo Nacci, Francesco Sozzi, Antonio Maurino, Livio Di Noi, Luigi Marinelli, Aldo Di Tommaso e Fabio Bisceglie.

Articolo aggiornato alle 22:50 (Lamendola padre e figlio irreperibili)

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